Tra Valladolid e Camerino
Un giudice di Valladolid, Spagna, ha ordinato la rimozione dei crocifissi da una scuola pubblica. E si riaccende l’ormai secolare dibattito sul tema. Noioso ed inutile come tutti i dialoghi tra sordi.
Personalmente non amo le confusioni tra Chiesa e Stato. Non mi piace vedere i Crocifissi negli edifici pubblici, così come non mi piace l’abitudine americana di mettere la bandiera in Chiesa accanto all’altare. Non sta forse scritto: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio”. (Matteo, 22, 21)?
Troverei logico che in un ufficio dello Stato si trovassero solo i simboli dello Stato. Lo Stato è un’autorità imparziale, che deve considerare allo stesso modo tutti i cittadini. Entrando negli edifici dello Stato, io credo, il Cittadino ha diritto di sentirsi a casa propria, qualunque sia la religione che professa, o anche se non ne professa alcuna.
L’Italia è piena di crocifissi: spuntano dai tetti delle chiese, dagli obelischi, nelle edicole sacre ai quadrivi, sulle cime dei monti, persino sul tetto del Palazzo presidenziale al Quirinale. Nessuno se n’è mai fatto una malattia, vedendoli, né ha mai pensato di chiederne la rimozione.
Il problema non è dunque il “Crocifisso” in sé, ma il “Crocifisso - negli - uffici - pubblici”. Un simbolo, come qualunque semiologo potrebbe spiegare, non ha un significato suo proprio, ma lo deriva dal modo in cui è comunemente inteso ed accettato, a seconda del luogo e del contesto in cui viene collocato.
Per fare un esempio, il fascio littore fu il simbolo della Roma Repubblicana, dell’unità e della libertà dei suoi cittadini. La dittatura fascista se ne appropriò, attribuendogli significati del tutto opposti. Per tale ragione oggi è un simbolo assolutamente screditato. In Italia. Ma nella vicina Francia continua ancor oggi ad essere lo stemma della Repubblica: cambiano i contesti, cambia anche il valore dei simboli, e il loro significato percepito.
Così, certo, un Crocifisso in legno d’olivo su una strada di montagna, è un segno di pietà e devozione. Ma dovremmo credere che lo stesso segno, in oro tempestato di brillanti, al collo di una dama a decorazione di un generoso decollété, abbia lo stesso significato e sia portato per le stesse ragioni?
Il Crocifisso è il simbolo della Passione e della Redenzione, chi lo può negare? Ma davvero l’ostinazione con cui si vuole imporre il “Crocifisso-negli-uffici-pubblici” ha come scopo solo quello di ricordarci il sacrificio del Figlio di Dio? Oppure essa non risponde a una preoccupazione più terrena, ribadire il diritto di ingerenza della Chiesa Cattolica negli affari pubblici? La via dell’Inferno, mi insegnavano a scuola (cattolica), è lastricata di buone intenzioni.
La presenza del Crocifisso negli Uffici Pubblici tra i simboli dello Stato, insieme alla Bandiera e al ritratto del capo dello Stato, è prescritta, pare, dall’articolo 118 del regio decreto 30 aprile 1924: «Ogni istituto ha la bandiera nazionale; ogni aula l’immagine del crocifisso e il ritratto del Re». Un successivo R.D. quattro anni dopo inseriva la croce nell’elenco degli «ordinari arredi scolastici». Insieme alla cattedra, alla lavagna, ai banchi… Se tale norma sia ancora in vigore o meno, è tema dibattuto dai giuristi. Come che sia, la pretesa di applicare (solo in parte poi: e la bandiera, e il ritratto del Capo dello Stato?) nell’Italia repubblicana e democratica, una legge frutto di un regime e di un clima del tutto opposto, non solo è assurda, ma è odiosa.
La nostra costituzione proclama l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Non credono gli uomini di fede e di Chiesa che tale valore costituzionale sia anche un valore profondamente cristiano? Se siamo tutti figli di Dio, e tutti fratelli, siamo tutti uguali, con eguali diritti e doveri. Ebbene, ove alcuni cittadini trovassero riflessi nei simboli del loro Stato i simboli della loro religione, e altri no, questo principio di eguaglianza verrebbe meno. Avremmo, come scrisse Orwell, che “tutti sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”.
Nella vicina Francia, il principio di separazione tra Chiesa e Stato è rigorosamente rispettato, e l’ostensione di simboli religiosi nei luoghi pubblici espressamente proibite. Può dirsi che la Francia non sia più un paese cattolico? Che la religione vi sia stata dimenticata? Eppure, visitandola, il papa stesso è stato accolto da ali festanti di folla, e l’ha chiamata “Fille ainée de l’Eglise”.
Domandare una rigorosa separazione tra Chiesa e Stato, e di non fare confusione tra i simboli della prima e quelli del secondo non è affatto il primo passo verso la scristianizzazione della società.
Nessuno può negare le profonde radici cristiane e la cultura cattolica della nazione italiana. Si nega però che vivere in un Paese di tradizione cattolica comporti, di necessità, essere cattolici, ed accettare i simboli della fede come propri. I laici, gli atei, gli appartenenti a culti o confessioni acattoliche, non dovrebbero essere considerati una tollerata eccezione alla regola. E credo che, ove si agisse con maggiore misericordia e carità, i loro sentimenti sarebbero compresi e rispettati.
Invece siamo tutti vittime di una radicalizzazione identitaria.
La “minaccia islamica” agita la fede nella sua sfida all’Occidente? E noi dobbiamo rispondere. “Loro” sono musulmani? E “noi” siamo cattolici. Così la religione diviene elemento identitario e culturale.
L’identità è ciò che distingue e delimita il mondo, ciò che fa la differenza tra ‘noi’ e ‘loro’. Accomuna, ma al tempo stesso divide. Fare della religione un fatto identitario significa perciò diminuirne il significato universale ed ecumenico. Una religione che proclama tutti fratelli perché figli di un unico Dio, che si rivolge a tutti come ugualmente candidati alla grazia, senza distinzione alcuna, non può permettersi di essere ridotta a fatto antropologico e culturale. Invece il crocifisso nelle aule scolastiche diviene un simbolo dell’italianità, alla stessa stregua della bandiera, della lingua, della cucina. Non a caso, i primi a parlare di identità cristiana sono i leghisti, partito identitario per eccellenza. Gli stessi che poi quando si sposano magari scelgono il ‘rito celtico’.
Basterebbe leggere queste due pronunce giudiziarie. Nel 1998, il Consiglio di Stato rendendo un parere sulla persistente vigenza della norma richiamata scrisse che il crocifisso, «a parte il significato per i credenti, rappresenta un simbolo della cultura cristiana come essenza universale, indipendente da una specifica confessione. Per questo la sua esposizione non contrasta con la libertà religiosa»
La Cassazione in una sentenza del 13 ottobre 1998 scrisse che nell’affissione del crocifisso «non è ravvisabile una violazione della libertà religiosa» perché questa «comporta solo che a nessuno può essere imposta per legge una prestazione di contenuto religioso ovvero contrastante con i suoi convincimenti».
Nessun pericolo, dunque, che un giudice italiano ripeta la pronuncia del suo collega spagnolo: ci provò Luigi Tosti, giudice al Tribunale di Camerino, a rifiutarsi di tenere udienza in un'aula in cui c'era il crocifisso. L’anno scorso e' stato condannato dal Tribunale dell'Aquila a sette mesi di reclusione, oltre ad un anno di interdizione dai pubblici uffici. Attualmente e' sospeso dalle funzioni.
Ogni commento è superfluo.
Personalmente non amo le confusioni tra Chiesa e Stato. Non mi piace vedere i Crocifissi negli edifici pubblici, così come non mi piace l’abitudine americana di mettere la bandiera in Chiesa accanto all’altare. Non sta forse scritto: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio”. (Matteo, 22, 21)?
Troverei logico che in un ufficio dello Stato si trovassero solo i simboli dello Stato. Lo Stato è un’autorità imparziale, che deve considerare allo stesso modo tutti i cittadini. Entrando negli edifici dello Stato, io credo, il Cittadino ha diritto di sentirsi a casa propria, qualunque sia la religione che professa, o anche se non ne professa alcuna.
L’Italia è piena di crocifissi: spuntano dai tetti delle chiese, dagli obelischi, nelle edicole sacre ai quadrivi, sulle cime dei monti, persino sul tetto del Palazzo presidenziale al Quirinale. Nessuno se n’è mai fatto una malattia, vedendoli, né ha mai pensato di chiederne la rimozione.
Il problema non è dunque il “Crocifisso” in sé, ma il “Crocifisso - negli - uffici - pubblici”. Un simbolo, come qualunque semiologo potrebbe spiegare, non ha un significato suo proprio, ma lo deriva dal modo in cui è comunemente inteso ed accettato, a seconda del luogo e del contesto in cui viene collocato.
Per fare un esempio, il fascio littore fu il simbolo della Roma Repubblicana, dell’unità e della libertà dei suoi cittadini. La dittatura fascista se ne appropriò, attribuendogli significati del tutto opposti. Per tale ragione oggi è un simbolo assolutamente screditato. In Italia. Ma nella vicina Francia continua ancor oggi ad essere lo stemma della Repubblica: cambiano i contesti, cambia anche il valore dei simboli, e il loro significato percepito.
Così, certo, un Crocifisso in legno d’olivo su una strada di montagna, è un segno di pietà e devozione. Ma dovremmo credere che lo stesso segno, in oro tempestato di brillanti, al collo di una dama a decorazione di un generoso decollété, abbia lo stesso significato e sia portato per le stesse ragioni?
Il Crocifisso è il simbolo della Passione e della Redenzione, chi lo può negare? Ma davvero l’ostinazione con cui si vuole imporre il “Crocifisso-negli-uffici-pubblici” ha come scopo solo quello di ricordarci il sacrificio del Figlio di Dio? Oppure essa non risponde a una preoccupazione più terrena, ribadire il diritto di ingerenza della Chiesa Cattolica negli affari pubblici? La via dell’Inferno, mi insegnavano a scuola (cattolica), è lastricata di buone intenzioni.
La presenza del Crocifisso negli Uffici Pubblici tra i simboli dello Stato, insieme alla Bandiera e al ritratto del capo dello Stato, è prescritta, pare, dall’articolo 118 del regio decreto 30 aprile 1924: «Ogni istituto ha la bandiera nazionale; ogni aula l’immagine del crocifisso e il ritratto del Re». Un successivo R.D. quattro anni dopo inseriva la croce nell’elenco degli «ordinari arredi scolastici». Insieme alla cattedra, alla lavagna, ai banchi… Se tale norma sia ancora in vigore o meno, è tema dibattuto dai giuristi. Come che sia, la pretesa di applicare (solo in parte poi: e la bandiera, e il ritratto del Capo dello Stato?) nell’Italia repubblicana e democratica, una legge frutto di un regime e di un clima del tutto opposto, non solo è assurda, ma è odiosa.
La nostra costituzione proclama l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Non credono gli uomini di fede e di Chiesa che tale valore costituzionale sia anche un valore profondamente cristiano? Se siamo tutti figli di Dio, e tutti fratelli, siamo tutti uguali, con eguali diritti e doveri. Ebbene, ove alcuni cittadini trovassero riflessi nei simboli del loro Stato i simboli della loro religione, e altri no, questo principio di eguaglianza verrebbe meno. Avremmo, come scrisse Orwell, che “tutti sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”.
Nella vicina Francia, il principio di separazione tra Chiesa e Stato è rigorosamente rispettato, e l’ostensione di simboli religiosi nei luoghi pubblici espressamente proibite. Può dirsi che la Francia non sia più un paese cattolico? Che la religione vi sia stata dimenticata? Eppure, visitandola, il papa stesso è stato accolto da ali festanti di folla, e l’ha chiamata “Fille ainée de l’Eglise”.
Domandare una rigorosa separazione tra Chiesa e Stato, e di non fare confusione tra i simboli della prima e quelli del secondo non è affatto il primo passo verso la scristianizzazione della società.
Nessuno può negare le profonde radici cristiane e la cultura cattolica della nazione italiana. Si nega però che vivere in un Paese di tradizione cattolica comporti, di necessità, essere cattolici, ed accettare i simboli della fede come propri. I laici, gli atei, gli appartenenti a culti o confessioni acattoliche, non dovrebbero essere considerati una tollerata eccezione alla regola. E credo che, ove si agisse con maggiore misericordia e carità, i loro sentimenti sarebbero compresi e rispettati.
Invece siamo tutti vittime di una radicalizzazione identitaria.
La “minaccia islamica” agita la fede nella sua sfida all’Occidente? E noi dobbiamo rispondere. “Loro” sono musulmani? E “noi” siamo cattolici. Così la religione diviene elemento identitario e culturale.
L’identità è ciò che distingue e delimita il mondo, ciò che fa la differenza tra ‘noi’ e ‘loro’. Accomuna, ma al tempo stesso divide. Fare della religione un fatto identitario significa perciò diminuirne il significato universale ed ecumenico. Una religione che proclama tutti fratelli perché figli di un unico Dio, che si rivolge a tutti come ugualmente candidati alla grazia, senza distinzione alcuna, non può permettersi di essere ridotta a fatto antropologico e culturale. Invece il crocifisso nelle aule scolastiche diviene un simbolo dell’italianità, alla stessa stregua della bandiera, della lingua, della cucina. Non a caso, i primi a parlare di identità cristiana sono i leghisti, partito identitario per eccellenza. Gli stessi che poi quando si sposano magari scelgono il ‘rito celtico’.
Basterebbe leggere queste due pronunce giudiziarie. Nel 1998, il Consiglio di Stato rendendo un parere sulla persistente vigenza della norma richiamata scrisse che il crocifisso, «a parte il significato per i credenti, rappresenta un simbolo della cultura cristiana come essenza universale, indipendente da una specifica confessione. Per questo la sua esposizione non contrasta con la libertà religiosa»
La Cassazione in una sentenza del 13 ottobre 1998 scrisse che nell’affissione del crocifisso «non è ravvisabile una violazione della libertà religiosa» perché questa «comporta solo che a nessuno può essere imposta per legge una prestazione di contenuto religioso ovvero contrastante con i suoi convincimenti».
Nessun pericolo, dunque, che un giudice italiano ripeta la pronuncia del suo collega spagnolo: ci provò Luigi Tosti, giudice al Tribunale di Camerino, a rifiutarsi di tenere udienza in un'aula in cui c'era il crocifisso. L’anno scorso e' stato condannato dal Tribunale dell'Aquila a sette mesi di reclusione, oltre ad un anno di interdizione dai pubblici uffici. Attualmente e' sospeso dalle funzioni.
Ogni commento è superfluo.
Tanto per cominciare Gesù non è morto sulla croce ma sul palo e continuare con i 10 comandamenti, in particolare quando dice di non adorare nessun altro Dio.
RispondiEliminaEsodo 20:4 "Non devi farti immagine scolpita..." -
Esodo 20:5 "Non devi inchinarti davanti a loro né essere indotto a servirle...".
Trai tu le debite conclusioni. :)
Ciao
Thierry Riva
Domande senza risposta
RispondiEliminaSeguo distrattamente le questioni di bioetica.
Mi sembra che la battaglia sul povero corpo di Eluana Englaro sia più una contesa per stabilire chi veramente comanda in Italia che per difendere la vita, visto che del sacrificio annuale di 8000 vite solo per incidenti stradali non parla mai nessuno.
Ho avuto un'educazione cattolica, ho dimenticato quasi tutto. Ma dalla mia infanzia ricordo tanti esempi virtuosi di gente che abbandonava questo mondo serenamente andando al padreterno, la 'vera vita', rispetto alla quale questa non è che un passaggio. In un'ottica religiosa, mi pare, l'abbandono delle sofferenze umane per le delizie celesti dovrebbe essere se non agevolato, quanto meno non ostacolato, se lo stato vegetativo impedisce di guadagnarsi ulteriori meriti per il Paradiso.
Dopo aver predicato il non attaccamento alle cose del mondo, questo accanimento su sondini e respiratori meccanici mi pare alquanto incongruente.
Senza contare l'assoluta assenza di carità e misericordia nei confronti dei congiunti che in questo momento devono prendere decisioni così difficili.
Domande senza risposta, che mi limito a condividere.
Ci salveranno i finlandesi??
RispondiElimina03 novembre 2009
Il Vaticano: «Prima di esprimerci, dobbiamo valutare la sentenza»
La Corte europea dei diritti dell'uomo:
«No al crocefisso nelle aule scolastiche»
Il ricorso presentato da un'italiana di origine finlandese. Gelmini: «È un simbolo della nostra tradizione»
MILANO - La presenza dei crocefissi nelle aule scolastiche costituisce «una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni» e una violazione alla «libertà di religione degli alunni». Lo ha stabilito la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo accogliendo il ricorso presentato da una cittadina italiana. Pronta la replica del Vaticano: «Dobbiamo valutare la sentenza».
LA RICORRENTE - Lei è Soile Lautsi Albertin, cittadina italiana originaria della Finlandia, che nel 2002 aveva chiesto all'istituto comprensivo statale Vittorino da Feltre di Abano Terme (Padova), frequentato dai suoi due figli, di togliere i crocefissi dalle aule in nome del principio di laicità dello Stato. Dalla direzione della scuola era arrivata risposta negativa e a nulla sono valsi i successivi ricorsi della Lautsi. A dicembre 2004 il verdetto della Corte Costituzionale, che ha bocciato il ricorso presentato dal Tar del Veneto. Il fascicolo è quindi tornato al Tribunale amministrativo regionale, che nel 2005 ha a sua volta respinto il ricorso, sostenendo che il crocifisso è simbolo della storia e della cultura italiana e di conseguenza dell'identità del Paese, ed è il simbolo dei principi di eguaglianza, libertà e tolleranza e del secolarismo dello Stato. Nel 2006, il Consiglio di Stato ha confermato questa posizione. Ma ora la storia si ribalta: i giudici di Strasburgo, interpellati dalla Lautsi nel 2007, le hanno dato ragione, stabilendo inoltre che il governo italiano dovrà versarle un risarcimento di cinquemila euro per danni morali. Si tratta della prima sentenza della Corte di Strasburgo in materia di simboli religiosi nelle aule scolastiche.
LA SENTENZA - «La presenza del crocefisso, che è impossibile non notare nelle aule scolastiche - si legge nella sentenza dei giudici di Strasburgo - potrebbe essere facilmente interpretata dagli studenti di tutte le età come un simbolo religioso. Avvertirebbero così di essere educati in un ambiente scolastico che ha il marchio di una data religione». Tutto questo, proseguono, «potrebbe essere incoraggiante per gli studenti religiosi, ma fastidioso per i ragazzi che praticano altre religioni, in particolare se appartengono a minoranze religiose o sono atei». Ancora, la Corte «non è in grado di comprendere come l'esposizione, nelle classi delle scuole statali, di un simbolo che può essere ragionevolmente associato con il cattolicesimo, possa servire al pluralismo educativo che è essenziale per la conservazione di una società democratica così come è stata concepita dalla Convenzione europea dei diritti umani, un pluralismo che è riconosciuto dalla Corte costituzionale italiana». I sette giudici autori della sentenza sono Francoise Tulkens (Belgio, presidente), Vladimiro Zagrebelsky (Italia), Ireneu Cabral Barreto (Portogallo), Danute Jociene (Lituania), Dragoljub Popovic (Serbia), Andras Sajò (Ungheria), e Isil Karakas (Turchia).
VATICANO, DOBBIAMO VALUTARE SENTENZA - Il Vaticano vuole leggere la motivazione, prima di pronunciarsi sulla sentenza della Corte europea di Strasburgo. «Credo che ci voglia una riflessione, prima di commentare», ha detto padre Federico Lombardi, portavoce della Santa Sede. Ha aggiunto monsignor Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio consiglio della pastorale per i migranti: «Preferisco non parlare della questione del crocefisso perché sono cose che mi danno molto fastidio».
OMMENTI - Il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini (Pdl): «La presenza del crocifisso in classe non significa adesione al cattolicesimo, ma è un simbolo della nostra tradizione». Pier Ferdinando Casini, leader dell'Udc: «È la conseguenza della pavidità dei governanti europei, che si sono rifiutati di menzionare le radici cristiane nella Costituzione europea. È il segno dell'identità cristiana dell'Italia e dell'Europa». Paola Binetti (Pd): «Spero che la sentenza sia semplicemente orientativa, che si collochi cioè nel rispetto delle credenze religiose». Il ministro delle Politiche agricole Luca Zaia (Lega): «Mi schiero con chi si sente offeso da una sentenza astratta e fintamente democratica e che offende i sentimenti dei popoli europei nati dal cristianesimo». Raffaele Carcano, segretario nazionale dell'Unione degli atei e degli agnostici razionalisti: «Un grande giorno per la laicità italiana. Siamo dovuti ricorrere all`Europa per avere ragione, ma finalmente la laicità dello Stato italiano trova conferma». Piergiorgio Bergonzi, responsabile scuola dei Comunisti italiani: «È un forte monito per riaffermare il valore della laicità della scuola e dello Stato».
RispondiEliminaA questo link la sentenza "Lautsi contro Italia" della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo
RispondiElimina03.11.2009
Press release issued by the Registrar
Chamber judgment1
Lautsi v. Italy (application no. 30814/06)
CRUCIFIX IN CLASSROOMS:
CONTRARY TO PARENTS’ RIGHT TO EDUCATE THEIR CHILDREN IN LINE WITH THEIR CONVICTIONS AND TO CHILDREN’S RIGHT TO FREEDOM OF RELIGION
Violation of Article 2 of Protocol No. 1 (right to education)
examined jointly with Article 9 (freedom of thought, conscience and religion)
of the European Convention on Human Rights
Under Article 41 (just satisfaction) of the Convention, the Court awarded the applicant 5,000 euros (EUR) in respect of non-pecuniary damage. (The judgment is available only in French.)
Principal facts
The applicant, Ms Soile Lautsi, is an Italian national who lives in Abano Terme (Italy). In 2001-2002 her children, Dataico and Sami Albertin, aged 11 and 13 respectively, attended the State school “Istituto comprensivo statale Vittorino da Feltre” in Abano Terme. All of the classrooms had a crucifix on the wall, including those in which Ms Lautsi’s children had lessons. She considered that this was contrary to the principle of secularism by which she wished to bring up her children. She informed the school of her position, referring to a Court of Cassation judgment of 2000, which had found the presence of crucifixes in polling stations to be contrary to the principle of the secularism of the State. In May 2002 the school’s governing body decided to leave the crucifixes in the classrooms. A directive recommending such an approach was subsequently sent to all head teachers by the Ministry of State Education.
On 23 July 2002 the applicant complained to the Veneto Regional Administrative Court about the decision by the school’s governing body, on the ground that it infringed the constitutional principles of secularism and of impartiality on the part of the public authorities. The Ministry of State Education, which joined the proceedings as a party, emphasised that the impugned situation was provided for by royal decrees of 1924 and 1928. On 14 January 2004 the administrative court granted the applicant’s request that the case be submitted to the Constitutional Court for an examination of the constitutionality of the presence of a crucifix in classrooms. Before the Constitutional Court, the Government argued that such a display was natural, as the crucifix was not only a religious symbol but also, as the “flag” of the only Church named in the Constitution (the Catholic Church), a symbol of the Italian State. On 15 December 2004 the Constitutional Court held that it did not have jurisdiction, on the ground that the disputed provisions were statutory rather than legislative. The proceedings before the administrative court were resumed, and on 17 March 2005 that court dismissed the applicant’s complaint. It held that the crucifix was both the symbol of Italian history and culture, and consequently of Italian identity, and the symbol of the principles of equality, liberty and tolerance, as well as of the State’s secularism. By a judgment of 13 February 2006, the Consiglio di Stato dismissed the applicant’s appeal, on the ground that the cross had become one of the secular values of the Italian Constitution and represented the values of civil life.
(continua....)
Scrive Andrea Bonanni su Repubblica:
RispondiElimina"La banalizzazione di un simbolo
Premetto due cose, non necessariamente collegate tra loro. La prima è che non sono credente. La seconda è che trovo la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo contraria all’obbligo del crocifisso nelle aule un segno di civiltà giuridica e culturale. Ancora una volta, parafrasando la canzoncina dei berlusconiani, mi viene da dire: “per fortuna che l’Europa c’è”.
Fatte queste dovute premesse, mi stupisco un po’ della reazione scomposta delle gerarchie cattoliche. Per un cristiano, il crocifisso dovrebbe essere, ancora di più che per un ateo come me, un simbolo sublime e terribile. La sua banalizzazione come soprammobile, confuso con i banchi, la lavagna e le altre suppellettili scolastiche, dovrebbe essere, quello sì, un sacrilegio. E la giustificazione del crocifisso nelle scuole come una fatto consuetudinario dovrebbe suonare alle orecchie dei buoni cristiani come una vera e propria bestemmia.
Vietando la imposizione fuori contesto del Cristo, e del suo supplizio, la Corte di Strasburgo ha riconosciuto la sua piena e terribile dignità ad un simbolo religioso. Quella stessa dignità che la Chiesa gli nega difendendone la banalizzazione quotidiana e obbligatoria."
Marco Travaglio
RispondiEliminaMa io difendo quella croce
5 novembre 2009
Dipendesse da me, il crocifisso resterebbe appeso nelle scuole. E non per le penose ragioni accampate da politici e tromboni di destra, centro, sinistra e persino dal Vaticano. Anzi, se fosse per quelle, lo leverei anch’io.
Fa ridere Feltri quando, con ignoranza sesquipedale, accusa i giudici di Strasburgo di “combattere il crocifisso anziché occuparsi di lotta alla droga e all’immigrazione selvaggia”: non sa che la Corte può occuparsi soltanto dei ricorsi degli Stati e dei cittadini per le presunte violazioni della Convenzione sui diritti dell’uomo. Fa tristezza Bersani che parla di “simbolo inoffensivo”, come dire: è una statuetta che non fa male a nessuno, lasciatela lì appesa, guardate altrove. Fa ribrezzo Berlusconi, il massone puttaniere che ieri pontificava di “radici cattoliche”. Fanno schifo i leghisti che a giorni alterni impugnano la spada delle Crociate e poi si dedicano ai riti pagani del Dio Po e ai matrimoni celtici con inni a Odino. Fa pena la cosiddetta ministra Gelmini che difende “il simbolo della nostra tradizione” contro i “genitori ideologizzati” e la “Corte europea ideologizzata” tirando in ballo “la Costituzione che riconosce valore particolare alla religione cattolica”. La racconti giusta: la Costituzione non dice un bel nulla sul crocifisso, che non è previsto da alcuna legge, ma solo dal regolamento ministeriale sugli “arredi scolastici”.
Alla stregua di cattedre, banchi, lavagne, gessetti, cancellini e ramazze. Se dobbiamo difendere il crocifisso come “arredo”, tanto vale staccarlo subito. Gesù in croce non è nemmeno il simbolo di una “tradizione” (come Santa Klaus o la zucca di Halloween) o della presunta “civiltà ebraico-cristiana” (furbesco gingillo dei Pera, dei Ferrara e altri ateoclericali che poi non dicono una parola sulle leggi razziali contro i bambini rom e sui profughi respinti in alto mare).
Gesù Cristo è un fatto storico e una persona reale, morta ammazzata dopo indicibili torture, pur potendosi agevolmente salvare con qualche parola ambigua, accomodante, politichese, paracula. È, da duemila anni, uno “scandalo” sia per chi crede alla resurrezione, sia per chi si ferma al dato storico della crocifissione. L’immagine vivente di libertà e umanità, di sofferenza e speranza, di resistenza inerme all’ingiustizia, ma soprattutto di laicità (“date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”) e gratuità (“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”).
Gratuità: la parola più scandalosa per questi tempi dominati dagli interessi, dove tutto è in vendita e troppi sono all’asta. Gesù Cristo è riconosciuto non solo dai cristiani, ma anche dagli ebrei e dai musulmani, come un grande profeta. Infatti fu proprio l’ideologia più pagana della storia, il nazismo – l’ha ricordato Antonio Socci - a scatenare la guerra ai crocifissi. È significativo che oggi nessun politico né la Chiesa riescano a trovare le parole giuste per raccontarlo.
Eppure basta prendere a prestito il lessico familiare di Natalia Ginzburg, ebrea e atea, che negli anni Ottanta scrisse: “Il crocifisso non genera nessuna discriminazione. Tace. È l’immagine della rivoluzione cristiana, che ha sparso per il mondo l’idea dell’uguaglianza fra gli uomini fino ad allora assente… Perché mai dovrebbero sentirsene offesi gli scolari ebrei? Cristo non era forse un ebreo e un perseguitato morto nel martirio come milioni di ebrei nei lager? Nessuno prima di lui aveva mai detto che gli uomini sono tutti uguali e fratelli.
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RispondiEliminaA me sembra un bene che i bambini, i ragazzi lo sappiano fin dai banchi di scuola”. Basterebbe raccontarlo a tanti ignorantissimi genitori, insegnanti, ragazzi: e nessuno – ateo, cristiano, islamico, ebreo, buddista che sia - si sentirebbe minimamente offeso dal crocifisso. Ma, all’uscita della sentenza europea, nessun uomo di Chiesa è riuscito a farlo. Forse la gerarchia è troppo occupata a fare spot per l’8 per mille, a batter cassa per le scuole private e le esenzioni fiscali, a combattere Dan Brown e Halloween, e le manca il tempo per quell’uomo in croce. Anzi, le mancano proprio le parole. Oggi i peggiori nemici del crocifisso sono proprio i chierici. E i clericali.
da Il Fatto Quotidiano n°38 del 5 novembre 2009
IL CASO
RispondiEliminaCassazione: "Lo Stato è laico
ma il crocifisso resta nei Tribunali"
Le sezioni unite civili hanno confermato la rimozione dall'ordine giudiziario di Luigi Tosti, il giudice di pace del tribunale di Camerino, sanzionato dal Csm per essersi rifiutato di tenere udienza a causa della presenza del crocefisso nelle aule di giustizia italiane
ROMA - "Nei pubblici uffici italiani, tra i quali rientrano anche le aule di giustizia, si può esporre solo il simbolo del crocefisso". Per esporvi simboli religiosi diversi ci vorrebbe una legge. Che però adesso non esiste. Le sezioni unite civili della Corte di Cassazione hanno confermato così la rimozione dall'ordine giudiziario di Luigi Tosti, 1il giudice di pace del tribunale di Camerino, sanzionato dal csm con la perdita del posto per essersi rifiutato di tenere udienza a causa della presenza del crocefisso nelle aule di giustizia italiane. Secondo la suprema corte quella decisione è corretta.
L'8 febbraio il sostituto procuratore generale della Cassazione, Pasquale Ciccolo, aveva chiesto ai giudici delle sezioni unite civili di respingere il ricorso presentato dalla difesa di Tosti contro la sentenza disciplinare del Csm che, lo scorso gennaio, aveva disposto la rimozione dalla magistratura per Tosti.
Respinta, in sintesi, la linea difensiva di Tosti, incentrata sulla difesa della laicità dello Stato ("che non può essere posta in dubbio" dice la Corte). Per questo i giudici spiegano che, essendo stata assegnata Tosti un'aula priva di crocifisso, questi non doveva rifiutarsi di celebrarvi processi per la presenza in altre aule dello stesso. Facendolo ha provocato un disservizio ai cittadini e all'organizzazione del tribunale di Camerino e per questo è
stato 'licenziato'. Tosti si era astenuto da 15 udienze nel periodo maggio-luglio 2005 e poi per altri periodi di tempo fino al 31 gennaio 2006. Per questo aveva già ricevuto delle sanzioni disciplinari.
Fra l'altro "la presenza di un crocefisso - scrive il collegio esteso - può non costituire necessariamente minaccia ai propri diritti di libertà religiosa per tutti quelli che frequentano un'aula di giustizia per i più svariati motivi e non solo necessariamente per essere tali utenti dei cristiani".
(14 marzo 2011)
mah....