Quando gli alieni arrivavano dallo spazio
La notizia è ghiotta: la piattaforma Mediaset Steel a partire dal 12 novembre replicherà tutti gli episodi di “UFO attacco alla Terra”. Io non ho il decoder, e uso la televisione quasi come un soprammobile (almeno in Italia, dov’è diventata uno sciocchezzaio per persone anziane e di scarsa cultura), quindi gradirei un invito da chi ne è provvisto.
Noi, nati alla fine degli anni ’60, ce li ricordiamo bene il Comandante Straker, la base SHADO, gli UFO sibilanti. Abbiamo giocato con i modellini degli intercettori e degli Skydiver. Solo più tardi, quando anche in Italia arrivò finalmente la TV a colori (tecnologia esistente già da un pezzo, ma avversata dall’oscurantismo democristiano), scoprimmo che le conturbanti operatrici della Base Luna, tipicamente in minigonna, portavano una parrucca colorata e un trucco pesante.
La serie non ebbe il successo che meritava, e terminò dopo appena 26 episodi. Dagli stessi ideatori nacque poi “Spazio 1999”, una coproduzione anche italiana.
Quelli erano gli anni delle conquiste spaziali e delle missioni sulla Luna. Pensavamo che la tecnologia dei viaggi astronautici fosse il non plus ultra della modernità. Invece, era l’ultimo, clamoroso sussulto del grande movimento di espansione coloniale dell’Occidente, iniziato ben 500 anni prima con i viaggi di Don Enrico il Navigatore dallo scoglio di Sagres.
La fantascienza americana dell'epoca, tutta fiducia nel progresso, nella democrazia e nell’interventismo umanitario, rifletteva bene quella pulsione imperiale, preconizzando, soprattutto in Star Trek, una galassia pacificata e democratizzata sotto il controllo americano (l’Enterprise aveva il distintivo ottico USS – United States Ship).
A ben vedere, dunque, la serie inglese di “UFO attacco alla Terra”, angosciante ed un po’ noir, era assai più moderna. La sua trama “sulla difensiva”, con la resistenza disperata agli assalti degli alieni malvagi, sembra anticipare e simbolizzare tutte le paure per la globalizzazione proprie dell’uomo contemporaneo.
Resta il fatto che, anche grazie alla fantascienza, la mia generazione fu la prima ad avere la curiosità e la voglia di muoversi per esplorare in massa il mondo esterno: non siamo andati sulla Luna, ma abbiamo preso dimestichezza con l’aereo, e, tramite esso, con culture e lingue diverse.
Miglior sorte di quella toccata ai ragazzi delle nuove generazioni, cui Internet dà l’illusione di essere connessi con il mondo, mentre tutto quello che in realtà fanno è stare a casa, meschinamente soli, seduti davanti allo schermo di un computer.
Noi, nati alla fine degli anni ’60, ce li ricordiamo bene il Comandante Straker, la base SHADO, gli UFO sibilanti. Abbiamo giocato con i modellini degli intercettori e degli Skydiver. Solo più tardi, quando anche in Italia arrivò finalmente la TV a colori (tecnologia esistente già da un pezzo, ma avversata dall’oscurantismo democristiano), scoprimmo che le conturbanti operatrici della Base Luna, tipicamente in minigonna, portavano una parrucca colorata e un trucco pesante.
La serie non ebbe il successo che meritava, e terminò dopo appena 26 episodi. Dagli stessi ideatori nacque poi “Spazio 1999”, una coproduzione anche italiana.
Quelli erano gli anni delle conquiste spaziali e delle missioni sulla Luna. Pensavamo che la tecnologia dei viaggi astronautici fosse il non plus ultra della modernità. Invece, era l’ultimo, clamoroso sussulto del grande movimento di espansione coloniale dell’Occidente, iniziato ben 500 anni prima con i viaggi di Don Enrico il Navigatore dallo scoglio di Sagres.
La fantascienza americana dell'epoca, tutta fiducia nel progresso, nella democrazia e nell’interventismo umanitario, rifletteva bene quella pulsione imperiale, preconizzando, soprattutto in Star Trek, una galassia pacificata e democratizzata sotto il controllo americano (l’Enterprise aveva il distintivo ottico USS – United States Ship).
A ben vedere, dunque, la serie inglese di “UFO attacco alla Terra”, angosciante ed un po’ noir, era assai più moderna. La sua trama “sulla difensiva”, con la resistenza disperata agli assalti degli alieni malvagi, sembra anticipare e simbolizzare tutte le paure per la globalizzazione proprie dell’uomo contemporaneo.
Resta il fatto che, anche grazie alla fantascienza, la mia generazione fu la prima ad avere la curiosità e la voglia di muoversi per esplorare in massa il mondo esterno: non siamo andati sulla Luna, ma abbiamo preso dimestichezza con l’aereo, e, tramite esso, con culture e lingue diverse.
Miglior sorte di quella toccata ai ragazzi delle nuove generazioni, cui Internet dà l’illusione di essere connessi con il mondo, mentre tutto quello che in realtà fanno è stare a casa, meschinamente soli, seduti davanti allo schermo di un computer.
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