Malsana famiglia
Ha scritto Alejandro Jodorowsky che: "Ne ha uccisi più la famiglia che la bomba atomica".
Probabilmente, si riferiva alla famiglia italiana. Giorni addietro un’altra strage “inspiegabile” si è consumata nell’ordinata provincia padana, per la gioia dei giornalisti che finalmente possono parlar d’altro che di politica. Tragedie fotocopia, tutte uguali: coppie borghesi, benestanti, rispettabili. Ed improvvisamente la violenza, a lungo compressa, esplode, “come fulmine a ciel sereno” (i telegiornali, che meravigliosa miniera di asinini luoghi comuni!).
Nei discorsi dei Vescovi (che si guardano bene dal formarne una) e dei politici (che ne hanno spesso più d’una), la Famiglia è un santino, un modello perfetto, un archetipo del vivere sociale.
Un valore in sé, dunque, da tutelare in quanto tale. La Famiglia è la cellula fondante della società, com’è ovvio in un paese che non riesce proprio a considerare e a dar valore all’individuo singolo, se non legato a qualcun altro, in associazione o corporazione. “Famiglia” è, non a caso, anche sinonimo di “cosca”, e con “familismo” si intende l’atteggiamento complice e amorale che privilegia il legame del sangue su qualsiasi altro.
Ma all’estero, l’“Italian Family” è lo stereotipo della famiglia litigiosa.
Ed in effetti, solo che si vada oltre la facciata perbenista, la famiglia italiana appare essere un luogo manicomiale di violenza e di sopraffazione, di litigi aspri e continui, di risentimento, di compressione della personalità. Una gabbia che spesso esplode, con esiti drammatici. Secondo una ricerca dell’Eures del 2005, nel 26,2% delle famiglie italiane il conflitto è permanente, sfociando spesso in fenomeni di violenza verbale o fisica. Sempre l'Eures ci dice oggi che, al ritmo di un morto ogni due giorni - oltre 1.300 vittime in sei anni - la famiglia italiana uccide più della mafia, della criminalità organizzata straniera e di quella comune.
Quello che dovrebbe essere un porto sicuro al quale tornare al più presto possibile viene spesso percepito come una prigione da evitare. Gli italiani, non a caso, sono in Europa quelli che si trattengono di più in ufficio.
I danni sociali di tutto questo litigare sono incalcolabili: stress, disagio psichico, aggressività, dipendenza appresa. La famiglia appare un ambiente profondamente diseducativo, e probabilmente non c’è da stupirsi se i giovani italiani, stressati e traumatizzati da tutto questo litigare siano così poco ansiosi di formarsene una. Difficile avere l’idea del focolare domestico, quando si è nati e vissuti in mezzo al marasma.
Ci sarebbe di che preoccuparsi: occorrerebbero azioni volte ad educare alla verbalizzazione dei sentimenti, alla composizione amichevole dei conflitti. Ma osta la retorica, quella per cui “i panni sporchi si lavano in famiglia” (appello all'omertà che conferma il carattere mafioso dell'istituto). E soprattutto, il fatto che si continui a pensare alla famiglia come a una Istituzione giuridico formale, fondata (art. 29, Cost.) “sul matrimonio”, anziché “sull’amore”, e della quale è importante preservare “l’unità” anziché l’armonia.
Allo Stato, alle politiche pubbliche tocca fermarsi sulla porta di casa. Guai a strappare il santino. Così la Sacra Famiglia Italiana, monade impermeabile all’azione sociale, continua a fare, imperterrita, le sue vittime.
Probabilmente, si riferiva alla famiglia italiana. Giorni addietro un’altra strage “inspiegabile” si è consumata nell’ordinata provincia padana, per la gioia dei giornalisti che finalmente possono parlar d’altro che di politica. Tragedie fotocopia, tutte uguali: coppie borghesi, benestanti, rispettabili. Ed improvvisamente la violenza, a lungo compressa, esplode, “come fulmine a ciel sereno” (i telegiornali, che meravigliosa miniera di asinini luoghi comuni!).
Nei discorsi dei Vescovi (che si guardano bene dal formarne una) e dei politici (che ne hanno spesso più d’una), la Famiglia è un santino, un modello perfetto, un archetipo del vivere sociale.
Un valore in sé, dunque, da tutelare in quanto tale. La Famiglia è la cellula fondante della società, com’è ovvio in un paese che non riesce proprio a considerare e a dar valore all’individuo singolo, se non legato a qualcun altro, in associazione o corporazione. “Famiglia” è, non a caso, anche sinonimo di “cosca”, e con “familismo” si intende l’atteggiamento complice e amorale che privilegia il legame del sangue su qualsiasi altro.
Ma all’estero, l’“Italian Family” è lo stereotipo della famiglia litigiosa.
Ed in effetti, solo che si vada oltre la facciata perbenista, la famiglia italiana appare essere un luogo manicomiale di violenza e di sopraffazione, di litigi aspri e continui, di risentimento, di compressione della personalità. Una gabbia che spesso esplode, con esiti drammatici. Secondo una ricerca dell’Eures del 2005, nel 26,2% delle famiglie italiane il conflitto è permanente, sfociando spesso in fenomeni di violenza verbale o fisica. Sempre l'Eures ci dice oggi che, al ritmo di un morto ogni due giorni - oltre 1.300 vittime in sei anni - la famiglia italiana uccide più della mafia, della criminalità organizzata straniera e di quella comune.
Quello che dovrebbe essere un porto sicuro al quale tornare al più presto possibile viene spesso percepito come una prigione da evitare. Gli italiani, non a caso, sono in Europa quelli che si trattengono di più in ufficio.
I danni sociali di tutto questo litigare sono incalcolabili: stress, disagio psichico, aggressività, dipendenza appresa. La famiglia appare un ambiente profondamente diseducativo, e probabilmente non c’è da stupirsi se i giovani italiani, stressati e traumatizzati da tutto questo litigare siano così poco ansiosi di formarsene una. Difficile avere l’idea del focolare domestico, quando si è nati e vissuti in mezzo al marasma.
Ci sarebbe di che preoccuparsi: occorrerebbero azioni volte ad educare alla verbalizzazione dei sentimenti, alla composizione amichevole dei conflitti. Ma osta la retorica, quella per cui “i panni sporchi si lavano in famiglia” (appello all'omertà che conferma il carattere mafioso dell'istituto). E soprattutto, il fatto che si continui a pensare alla famiglia come a una Istituzione giuridico formale, fondata (art. 29, Cost.) “sul matrimonio”, anziché “sull’amore”, e della quale è importante preservare “l’unità” anziché l’armonia.
Allo Stato, alle politiche pubbliche tocca fermarsi sulla porta di casa. Guai a strappare il santino. Così la Sacra Famiglia Italiana, monade impermeabile all’azione sociale, continua a fare, imperterrita, le sue vittime.
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