Foto digitale e nuovi problemi
C’è un risvolto paradossale e preoccupante della grande diffusione di macchine fotografiche digitali e videocamere, ed è il rapporto sempre meno sano tra immagine e realtà che alcuni tendono a stabilire, con la conseguenza di una crescente diffidenza verso il mezzo fotografico e chi lo usa.
Per un fotografo tradizionale, scattare una fotografia è un atto creativo. Soprattutto nei ritratti, la fotografia stabilisce una relazione a due, spesso non meno emozionalmente coinvolgente di una seduta psicanalitica, ed altrettanto profonda. Un buon fotografo sa far emergere espressioni, sentimenti, emozioni, passioni della persona che ritrae. Si tratta di un processo maieutico, che esclude ogni prevaricazione; anzi è normalmente divertente, spesso più per colui che è ritratto - che può concedersi una parentesi di puro e spensierato narcisismo - che per il fotografo stesso.
Il vero fotografo ha una sua etica, che discende dalla profonda consapevolezza del valore di quello che sta facendo.
Purtroppo la popolarizzazione della fotografia, diffondendo il mezzo fotografico in mano a chi non ha questo genere di coscienza, ha avuto l’imprevista conseguenza di suscitare sempre maggiori reazioni di sospetto e di rigetto verso l’atto del fotografare, a causa dell'uso improprio dei nuovi strumenti.
Intanto, le macchine fotografiche, da oggetto ingombrante e pesante, come le reflex e le medio formato, si sono sempre più rimpicciolite, fino ad assumere le dimensioni di una compatta, o a poter essere nascoste in un telefono. Fino a pochi anni fa le macchine fotografiche miniaturizzate, come la lèttone Minox, erano appannaggio delle spie. Oggi ne abbiamo tutti una in tasca.
Inoltre, se prima il prodotto fotografico rimaneva generalmente in una collezione privata, oggi siti come Facebook, Flickr, spesso collegabili anche ai videofonini, consentono una non sempre opportuna divulgazione delle proprie immagini all’universo mondo.
Così, può capitare di essere ritratti a propria insaputa, magari in un momento infelice, e di finire su qualche sito, additati al pubblico ludibrio, tutti potenziali vittime di improvvisati paparazzi.
E non parliamo della foto di nudo. In questo campo la fotografia popolare ha fatto i peggiori macelli. Un tempo, una ragazza che si spogliasse davanti a una macchina fotografica compiva un gesto di forte trasgressione, e al tempo stesso manifestava orgogliosa consapevolezza di sé e del proprio valore. Era un atto maturo, adulto e liberatorio. In un certo modo la donna si appropriava più definitivamente del proprio corpo, grazie al rapporto privilegiato e intimo col fotografo. Che sapeva dominare i linguaggi del nudo, del glamour, dell’eros, oltre che comportarsi con la necessaria riservatezza e discrezione.
Oggi invece, internet è piena degli squallidi cascami di povere fantasie di coppie, foto e filmini realizzati alla bell’e meglio, in desolante povertà di strumenti espressivi e di idee. Il non dover passare più dallo stampatore per lo sviluppo dei rullini ha evidentemente avuto l’effetto di rimuovere i freni inibitori e trasformare tutti in pornografi. Il risultato è quasi sempre scadente nel pecoreccio.
Non solo: si diffonde il revenge porn, la messa in rete di filmati realizzati in momenti di intimità come gesto di vendetta da parte di partners abbandonati contro la propria ex (sarà che io non sono stato mai lasciato, ma cosa c’è da vendicarsi poi? Vaja con diòs, e avanti la prossima ! :-) .
Tra l’atteggiamento del vero fotografo e quello dei suoi improvvisati imitatori c’è una bella differenza: più o meno quella che passa tra chi mette un occhiale per vedere meglio e chi spia dal buco della serratura. Per il fotografo la fotocamera non è uno schermo dietro cui nascondersi, ma uno strumento per essere ancora più presente e protagonista nella realtà.
Naturale però che la differenza con i ladri di immagini non si veda a prima vista, e che il fotografo venga guardato con una diffidenza che nel passato gli era sconosciuta. Ai tempi della pellicola scattare una fotografia a qualcuno era un complimento: significava quantomeno spenderci dei soldi, oltre che del tempo. Oggi si percepisce sospetto, spesso fastidio. Non si può fare a meno di rispondere a domande sull’impiego futuro dell’immagine, e sono sempre più le persone che non ne vogliono assolutamente sapere di essere fotografate. Come gli africani, temono che si rubi loro l’anima. E forse non hanno tutti i torti.
La fotografia da passatempo di élite, è diventata fenomeno di massa. Occorre allora una nuova educazione all’immagine. Ne vale la pena, del resto. Non esiste un hobby più completo ed educativo di questo. Imparare a fotografare significa anche apprendere di ottica, di meteorologia, di psicologia, ieri di chimica e oggi d’informatica, di storia dell’arte, di geologia, di botanica e via dicendo. È anche uno sport, faticoso come la caccia, senza però essere distruttivo. È l’autentico sesto senso: tutti possiamo vedere, attraverso gli occhi che la natura ci dona, ma è solo grazie alla fotografia che impariamo a guardare.
Fotografare è molto più che premere un pulsante. Tenetelo a mente ;-)
Per un fotografo tradizionale, scattare una fotografia è un atto creativo. Soprattutto nei ritratti, la fotografia stabilisce una relazione a due, spesso non meno emozionalmente coinvolgente di una seduta psicanalitica, ed altrettanto profonda. Un buon fotografo sa far emergere espressioni, sentimenti, emozioni, passioni della persona che ritrae. Si tratta di un processo maieutico, che esclude ogni prevaricazione; anzi è normalmente divertente, spesso più per colui che è ritratto - che può concedersi una parentesi di puro e spensierato narcisismo - che per il fotografo stesso.
Il vero fotografo ha una sua etica, che discende dalla profonda consapevolezza del valore di quello che sta facendo.
Purtroppo la popolarizzazione della fotografia, diffondendo il mezzo fotografico in mano a chi non ha questo genere di coscienza, ha avuto l’imprevista conseguenza di suscitare sempre maggiori reazioni di sospetto e di rigetto verso l’atto del fotografare, a causa dell'uso improprio dei nuovi strumenti.
Intanto, le macchine fotografiche, da oggetto ingombrante e pesante, come le reflex e le medio formato, si sono sempre più rimpicciolite, fino ad assumere le dimensioni di una compatta, o a poter essere nascoste in un telefono. Fino a pochi anni fa le macchine fotografiche miniaturizzate, come la lèttone Minox, erano appannaggio delle spie. Oggi ne abbiamo tutti una in tasca.
Inoltre, se prima il prodotto fotografico rimaneva generalmente in una collezione privata, oggi siti come Facebook, Flickr, spesso collegabili anche ai videofonini, consentono una non sempre opportuna divulgazione delle proprie immagini all’universo mondo.
Così, può capitare di essere ritratti a propria insaputa, magari in un momento infelice, e di finire su qualche sito, additati al pubblico ludibrio, tutti potenziali vittime di improvvisati paparazzi.
E non parliamo della foto di nudo. In questo campo la fotografia popolare ha fatto i peggiori macelli. Un tempo, una ragazza che si spogliasse davanti a una macchina fotografica compiva un gesto di forte trasgressione, e al tempo stesso manifestava orgogliosa consapevolezza di sé e del proprio valore. Era un atto maturo, adulto e liberatorio. In un certo modo la donna si appropriava più definitivamente del proprio corpo, grazie al rapporto privilegiato e intimo col fotografo. Che sapeva dominare i linguaggi del nudo, del glamour, dell’eros, oltre che comportarsi con la necessaria riservatezza e discrezione.
Oggi invece, internet è piena degli squallidi cascami di povere fantasie di coppie, foto e filmini realizzati alla bell’e meglio, in desolante povertà di strumenti espressivi e di idee. Il non dover passare più dallo stampatore per lo sviluppo dei rullini ha evidentemente avuto l’effetto di rimuovere i freni inibitori e trasformare tutti in pornografi. Il risultato è quasi sempre scadente nel pecoreccio.
Non solo: si diffonde il revenge porn, la messa in rete di filmati realizzati in momenti di intimità come gesto di vendetta da parte di partners abbandonati contro la propria ex (sarà che io non sono stato mai lasciato, ma cosa c’è da vendicarsi poi? Vaja con diòs, e avanti la prossima ! :-) .
Tra l’atteggiamento del vero fotografo e quello dei suoi improvvisati imitatori c’è una bella differenza: più o meno quella che passa tra chi mette un occhiale per vedere meglio e chi spia dal buco della serratura. Per il fotografo la fotocamera non è uno schermo dietro cui nascondersi, ma uno strumento per essere ancora più presente e protagonista nella realtà.
Naturale però che la differenza con i ladri di immagini non si veda a prima vista, e che il fotografo venga guardato con una diffidenza che nel passato gli era sconosciuta. Ai tempi della pellicola scattare una fotografia a qualcuno era un complimento: significava quantomeno spenderci dei soldi, oltre che del tempo. Oggi si percepisce sospetto, spesso fastidio. Non si può fare a meno di rispondere a domande sull’impiego futuro dell’immagine, e sono sempre più le persone che non ne vogliono assolutamente sapere di essere fotografate. Come gli africani, temono che si rubi loro l’anima. E forse non hanno tutti i torti.
La fotografia da passatempo di élite, è diventata fenomeno di massa. Occorre allora una nuova educazione all’immagine. Ne vale la pena, del resto. Non esiste un hobby più completo ed educativo di questo. Imparare a fotografare significa anche apprendere di ottica, di meteorologia, di psicologia, ieri di chimica e oggi d’informatica, di storia dell’arte, di geologia, di botanica e via dicendo. È anche uno sport, faticoso come la caccia, senza però essere distruttivo. È l’autentico sesto senso: tutti possiamo vedere, attraverso gli occhi che la natura ci dona, ma è solo grazie alla fotografia che impariamo a guardare.
Fotografare è molto più che premere un pulsante. Tenetelo a mente ;-)
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