Amici miei, colbertiani immaginari

La telenovela Alitalia è finita, amen. Abbiamo una nuova compagnia aerea. L’altro ieri dovevo andare a Milano. Ho provato a vedere quanto mi sarebbe costato l’aereo: 323€, il triplo di quanto ci vuole per andare a Londra con un low cost. La nuova Alitalia è un affare per tutti, tranne che per i consumatori, che si trovano a pagare i costi di un sostanziale monopolio, nonché la socializzazione delle perdite della vecchia compagnia. In tempi in cui ci sono pochi soldi per i consumi, un risultato niente male.

Il nuovo interventismo statale, con in parallelo il piano americano di pubblicizzazione e salvataggio
delle banche e delle assicurazioni in crisi, fa inneggiare tanti alla fine del liberismo e del mercato.

Pier Luigi Battista sul Corrierone ha scritto: “meriterebbe un epitaffio o un elogio funebre il liberismo polverizzato dal crollo del mercato, dagli americani convertiti al verbo della nazionalizzazione, dall'uragano statalista che sommerge persino il ricordo dei ruggenti anni '80. Reagan disse che lo Stato non risolve i problemi, lo Stato è il problema". Ricordando gli anni ruggenti della Thatcher, la teoria dello "Stato minimo", Battista conclude: “Quell'edonismo si è spento" - conclude - "quell'epoca è tramontata con il grande crac in cui s'implora l'intervento del moderno redentore: lo Stato.

Sarà che io per lo Stato ci lavoro, e dopo tutte le convulsioni originate dalla politica con riforme continue e inconcludenti, l’idea che esso sia un ‘Redentore’ e la soluzione di tutti i problemi, non mi convince proprio. Americani e Britannici possono ben leccarsi le ferite da un eccesso di euforia liberista, ma è un fatto che fu proprio il rilancio delle loro economie ad opera del duo Thatcher - Reagan a rendere questi paesi di nuovo ricchi e competitivi. Una crisi ciclica non significa la fine del capitalismo e dell'economia di mercato.
In Italia purtroppo non c'è più lo Stato ma non c'è nemmeno il mercato. E non c'è mai stato. Non dovremmo dimenticare che Alitalia è affondata mentre era in mani pubbliche. Lo schema quindi è ben diverso quello americano: lì c'è stata una statalizzazione di imprese private, qui l’uscita dall’ambito dello Stato di una compagnia che viene affidata a privati, in un regime che però non è ancora di libero mercato, visto che si sono dovute cambiare completamente le regole, a partire dalla Legge Marzano, e la scelta del contraente ha obbedito a criteri esclusivamente politici.

Si dirà che l’eccezione è dovuta all’ interesse nazionale. Per la verità, la scelta di non vendere ad Air France è stata determinata dal fatto che essa avrebbe puntato su Fiumicino, mentre la cordata CAI, eventualmente corroborata in futuro da Lufthansa, punta su Malpensa. Dunque, non di interessi nazionali si tratta, ma di opposti localismi, rappresentati da due parti politiche con i loro bravi interessi elettorali.
E poi, come si definisce l’ “interesse nazionale” in questo caso ? Ancora una volta secondo lo schema marxiano dell’ “alleanza dei produttori”, che esclude i consumatori e la loro sovranità economica, cioè la loro libertà di spendere il loro denaro come e dove meglio credono. È bene per tutti quello che risulta dall’intesa tra imprenditori e lavoratori, e pazienza se tutti noi paghiamo un prezzo. Uno Stato neutrale avrebbe potuto rappresentare i cittadini. Ma questi, al tavolo delle trattative, non c’erano. E non a caso, perché in una visione mercantilista il mercante quando opera accresce non solo la ricchezza e il prestigio propri, ma anche quelli dello Stato, ed anche il cittadino è una funzione dello Stato.

Insomma, il caso Alitalia celebra una visione che ha sfiducia nel mercato, e secondo me c’è poco da esultare. Persino un mio amico, laureatosi con una tesi sulla Thatcher oggi inneggia al Colbertismo hi-tech, alle politiche commerciali ed industriali di tipo strategico.

Se questo è il trend del momento, prendiamone atto. Solo vorrei chiedere: perché a un’azienda decotta si assegna un valore strategico, e quindi le si devolvono infinite risorse ed attenzione, mentre all’intero comparto della Pubblica Amministrazione, e soprattutto ai settori strategici, come la Giustizia, nel quale io lavoro, si lesinano fondi e soprattutto cura, nel presupposto (questo ancora ultraliberista) che la PA sia solo una palla al piede per l’economia, ed un ostacolo alla libera iniziativa economica? Ai neocolbertisti casarecci dovremmo allora ricordare che le politiche mercantiliste erano tutte funzionali alla creazione di uno Stato forte ed accentrato, e che Colbert dedicò le sue migliori energie proprio a questo scopo. Se oggi la pubblica amministrazione francese mostra ancora orgogliosamente efficienza, etica, rigoroso senso del dovere, spirito di corpo, tutto ciò è a causa delle scelte di Colbert, e dei suoi successori, che operarono tanto nel mondo dell’economia, quanto in quello dell’amministrazione, subordinando la prima alla seconda.

Mi pare che di questo non ci sia consapevolezza ideologica: così il mix di ortodossia liberista e di eccezioni alla regola di segno neomercantilista, variamente declinato a seconda delle convenienze del momento, se non addirittura del capriccio, rischia di produrre solo uno di quei pasticci all’italiana per cui il nostro Paese non è ne carne né pesce, né liberale né colbertiano, né federalista né autenticamente accentrato, ma sempre, eternamente, in mezzo a un guado.

Finito lo psicodramma Alitalia, speriamo dunque che qualcuno si accorga che una Amministrazione efficiente è non meno strategica, per gli interessi nazionali e per competere sui mercati, di una compagnia aerea. Ci spero, ma non ci credo.

Poscritto: leggo che ai comandanti di Alitalia, nel nuovo contratto, verrà riconosciuto l’inquadramento da dirigenti. Dopo i dirigenti-medici avremo anche i dirigenti-piloti, dunque. Da dirigente-dirigente segnalo con preoccupazione che sempre più si tende a considerare la dirigenza un rango stipendiale piuttosto che una professione. Saremo ammessi, noi dirigenti “semplici”, a pilotare aerei e a curare la gente? Ne dubito. E allora a ciascuno il suo mestiere. Vale per me, dovrebbe valere anche per loro.


Commenti

  1. Le politiche industriali e commerciali di tipo strategico non sono una invenzione nostrana, ma americana. Un'elaborazione dovuta a Paul Krugman e poi penetrata nella prima Amministrazione Clinton.

    Mi sembra che la tua polemica sia mal centrata. Anche se in un punto hai ragione. E' vero che esistono due modelli, uno dei quali mette al centro il consumatore e l'altro il produttore. Dove però sbagli è nel ritenere la reaganomics una politica economica mirata sugli interessi del cittadino consumatore. Era centrata, invece, sugli interessi del produttore. Infatti, il suo cardine era la Supply Side Economics, con tanto di tagli asimmetrici dell'imposizione a favore dei redditi più alti.

    Il fatto è, caro Dario, che, potrà o no, piacerti, il mondo non gioca con le stesse regole. E vince chi le viola meglio degli altri, con aiuti subdoli e surrettizi al settore privato. Una volta che tu hai buttato fuori dal mercato i campioni nazionali degli altri, ne hai distrutto la ricchezza.
    Ti segnalo inoltre che non tutti i posti di lavoro sono eguali. Alcuni sono più eguali degli altri. E sono quelli a più elevata intensità di capitale e conoscenza. Quando tu te li assicuri, eliminando la concorrenza, hai distrutto ricchezza netta nello Stato tuo competitore.

    Lascia stare Fiumicino. Ad Air France interessava solo distruggere Malpensa, accentrare il traffico intercontinentale da e per l'Italia su Charles De Gaulle e mandarci al diavolo. Aggiungi che tutta la business class degli aerei Air France è bugged (riempita di microspie dai servizi segreti francesi, ndR) ed il gioco è fatto.

    Infine: caro Dario, senza il Piano Sinigaglia, non ci sarebbe stato in Italia alcuni sviluppo economico e la distruzione delle partecipazioni statali, guarda caso impostaci dai tedeschi, ha coinciso con la deindustrializzazione del nostro Paese.

    Inutile lamentarsi di scandali come quello della Thyssen Krupp. La Germania, via Europa, ci ha imposto la chiusura degli altiforni più moderni e potenti di tutta l'UE, per proteggere quelli tedeschi. E da ultimo noi italiani siamo dovuti tornare alla siderurgia di serie B, quella che lavora sui rottami, per capirci. Per di più utilizzando aziende tedesche. Per non parlare della chimica.... guarda caso l'altro polo di eccellenza tedesco....

    Caro Dario. Come diceva Jean, la geoeconomia è una questione riconducibile tutta ad un dilemma: "o lo pigli, o lo metti". Francesi e tedeschi ce lo hanno messo più volte (tra l'altro, anche per questo avrei preferito per Alitalia BA come partner).
    Più chiaro di così.....

    Tutto ciò posto, convengo che tutto questo dibattito non c'è stato. E che Alitalia non è stata salvata per questo motivo, ma per altri. Ciò non mi pare che infici le mie ragioni.

    Quindi, il tuo ragionamento in linea generale è accettabile. Non è accettabile, o per lo meno va discussa, la censura ideologica verso i geoeconomisti ed i colbertisti hi-tech. Tanto più che in questa vicenda non hanno avuto voce in capitolo.
    G.

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  2. Censura ideologica? Ma quando mai? Trovo un po' buffo trovarmi, proprio io, funzionario dello Stato, a sostenere le ragioni del mercato.
    Se vogliamo diventare tutti mercantilisti, dunque, sia. Io mi sono limitato a notare che una politica genuinamente colbertista dovrebbe avere nel rafforzamento del sistema statale uno dei suoi cardini, riconoscendo nella PA un fattore strategico per la competitività del sistema paese.
    Non si può essere neocolbertisti quando si parla di intervento pubblico in economia, e veterothatcheriani quando si parla del ruolo dello Stato: semplicemente non ha senso. O più, o meno Stato, tertium non datur.

    Di qui il mio sospetto che non ci sia proprio nessun approccio ideologico e sistematico in quello che sta accadendo, ma solo un confuso rincorrere gli eventi. Che è l’esatto contrario di qualunque politica, a prescindere dalle etichette.

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