Istantanea, emozione banale
Il mio primo approccio alla fotografia è stato attraverso una Polaroid. Mi fu regalata quando ero bambino, ed era un attrezzo piuttosto complicato, a partire dalla messa a fuoco. Dopo lo scatto si trattava di estrarre la busta contenente la foto, riscaldarla sotto il braccio, ed aspettare dieci minuti che il processo di sviluppo e stampa facesse il suo corso. L’involucro si buttava via, con tutti i suoi velenosi composti chimici. Erano i tempi dell’usa e getta trionfante, senza scrupoli per l’ambiente: si è visto come è andata a finire. I risultati erano normalmente scarsi, e le foto che rimangono di quel periodo sono ingiallite precocemente, a causa del fissaggio imperfetto.
Quindi non ho provato nessuna nostalgia all’annuncio della chiusura dell’ultima fabbrica Polaroid. Stupore sì: oggi va tanto di moda il vintage e il retrò, e - se il mondo è pieno di impiegati di banca disposti a spendere quattrini per passare la domenica a bordo di un rottame come l’Harley Davidson - la Polaroid poteva ragionevolmente appellarsi alla nostalgia dei suoi antichi aficionados.
Il fatto è che tutta la fotografia chimica è in difficoltà a causa del diffondersi del digitale. Ma, se la Polaroid è finita come tecnologia, non si deve perdere di vista che, invece, il concetto Polaroid ha definitivamente trionfato. Le compatte digitali hanno infatti realizzato quell’idea di “istantanea” che era preconizzata dalle macchine a sviluppo immediato.
Per carità, non rimpiango quell’autentico castigo di Dio che erano gli stampatori commerciali. Fissaggi scaduti, acque di sviluppo troppo fredde o troppo dure: il patrimonio iconografico che ciascuno ha in casa è a rischio evaporazione. I più avvertiti si premunivano fotografando con pellicole appositamente studiate per resistere a trattamenti sbagliati, come le Kodak Elite II.
Ma è un fatto che aver eliminato lo iato temporale tra lo scatto della foto, la sua stampa e la sua fruizione definitiva, ha modificato radicalmente il nostro rapporto con la fotografia come prodotto fisico e mentale, cioè in definitiva il rapporto con la nostra memoria.
Rivedere le foto dopo un lasso di tempo più o meno breve, magari al ritorno da un viaggio, donava loro una proprietà rievocativa. La foto aveva la capacità di richiamare ricordi e risvegliare sensazioni.
Oggi niente di tutto questo. Il risultato può essere immediatamente verificato. Tipicamente, le persone cui si fa un ritratto vogliono vedere come sono venute: ci si guarda nel display della fotocamera con lo stesso spirito con cui ci si controlla allo specchio. La fotografia non ricorda e non ricrea più il passato: conferma l’esistente.
Ciò è perfettamente in linea con la nostra epoca frettolosa, che impone che le emozioni siano consumate subito, senza spazio per la decantazione.
La fotografia chimica era una funzione della memoria e della storia., la fotografia digitale è una funzione della cronaca e dell’oggi, appiattisce e banalizza il passato in un eterno presente. Questo appiattimento è il durevole legato dell’invenzione del signor Land ed è un buon motivo per non avere – della Polaroid – soverchi rimpianti.
Quindi non ho provato nessuna nostalgia all’annuncio della chiusura dell’ultima fabbrica Polaroid. Stupore sì: oggi va tanto di moda il vintage e il retrò, e - se il mondo è pieno di impiegati di banca disposti a spendere quattrini per passare la domenica a bordo di un rottame come l’Harley Davidson - la Polaroid poteva ragionevolmente appellarsi alla nostalgia dei suoi antichi aficionados.
Il fatto è che tutta la fotografia chimica è in difficoltà a causa del diffondersi del digitale. Ma, se la Polaroid è finita come tecnologia, non si deve perdere di vista che, invece, il concetto Polaroid ha definitivamente trionfato. Le compatte digitali hanno infatti realizzato quell’idea di “istantanea” che era preconizzata dalle macchine a sviluppo immediato.
Per carità, non rimpiango quell’autentico castigo di Dio che erano gli stampatori commerciali. Fissaggi scaduti, acque di sviluppo troppo fredde o troppo dure: il patrimonio iconografico che ciascuno ha in casa è a rischio evaporazione. I più avvertiti si premunivano fotografando con pellicole appositamente studiate per resistere a trattamenti sbagliati, come le Kodak Elite II.
Ma è un fatto che aver eliminato lo iato temporale tra lo scatto della foto, la sua stampa e la sua fruizione definitiva, ha modificato radicalmente il nostro rapporto con la fotografia come prodotto fisico e mentale, cioè in definitiva il rapporto con la nostra memoria.
Rivedere le foto dopo un lasso di tempo più o meno breve, magari al ritorno da un viaggio, donava loro una proprietà rievocativa. La foto aveva la capacità di richiamare ricordi e risvegliare sensazioni.
Oggi niente di tutto questo. Il risultato può essere immediatamente verificato. Tipicamente, le persone cui si fa un ritratto vogliono vedere come sono venute: ci si guarda nel display della fotocamera con lo stesso spirito con cui ci si controlla allo specchio. La fotografia non ricorda e non ricrea più il passato: conferma l’esistente.
Ciò è perfettamente in linea con la nostra epoca frettolosa, che impone che le emozioni siano consumate subito, senza spazio per la decantazione.
La fotografia chimica era una funzione della memoria e della storia., la fotografia digitale è una funzione della cronaca e dell’oggi, appiattisce e banalizza il passato in un eterno presente. Questo appiattimento è il durevole legato dell’invenzione del signor Land ed è un buon motivo per non avere – della Polaroid – soverchi rimpianti.
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