La finestra sul porcile

"Se ce fosse Dozza
Roma nun sarebbe così zozza”
era un vecchio slogan del PCI. Giuseppe Dozza fu il sindaco comunista della Bologna del dopoguerra, quando quel partito, colpito dalla conventio ad excludendum dal governo nazionale, portava come prova delle proprie concrete capacità di governo il cd. “modello emiliano”. I comunisti erano atei e scomunicati, mangiavano i bambini ed erano l’avanguardia di quei cosacchi che sarebbero venuti ad abbeverare i cavalli nelle fontane di piazza S. Pietro. Però erano efficienti, competenti ed onesti, e questo non lo si poteva negare.

Cosa è rimasto di quell’epoca, dell’orgoglio di una classe dirigente formatasi in serie scuole di politica e rodata nella gestione dei problemi concreti, nell’ascolto del territorio, nella cucitura della società e delle sue pulsioni?
Ben poco, a vedere le scene che vengono dalla Campania. La mondezza che sommerge Napoli e dintorni segna il campanello finale a un certo modo di intendere la politica, che oppone soluzioni virtuali a problemi reali. Quella, per capirci, che chiama “ecoballe” le tonnellate di fetenzia compattata, che ribattezza i marciapiedi “percorsi ciclopedonali” per farli figurare come piste ciclabili, e “parchi” quelle che sono semplicemente tenute agricole, per contarle come verde pubblico. Questa politica è figlia del ‘politicamente corretto’: se si ritiene che ogni fatto della vita può essere ridotto a un dato nominalistico, allora non è necessario risolvere i problemi, basta ridefinirli.

Prodi non è caduto sulla sfiducia di Mastella, ma sul porcile campano:
l'immondizia è entrata nell'agenda politica italiana con la sua concretezza ineludibile ed irrisolvibile per mezzo di artifici verbali o trucchi contabili. Quali che possano essere i suoi successi ragionieristici nel campo del risanamento dei conti pubblici, paga l'amaro risveglio di un paese abituato a vivere al di sopra dei propri mezzi, e che si accorge oggi - mentre il mondo si è messo a correre - di essere rimasto fermo, con le stesse facce, gli stessi problemi sempre rinviati e mai risolti. L’Italia non è povera: è depressa, il che è molto peggio.

Per quello che riguarda il mo campo, non posso che nascondere la mia delusione: la sinistra sarà anche 'statalista’, ma questo governo ha dato il colpo di grazia alla pubblica amministrazione.

Il debutto è stato particolarmente infelice: per fare posto a una pletora di Ministri e Sottosegretari senza eguali nella storia repubblicana si è inventato lo “spacchettamento”. Sono nati per gemmazione nuovi ministeri, ed è stato buttato all’aria un lavoro di fusione e di eliminazione di duplicazioni e sprechi che durava molti anni, iniziato con la riforma Bassanini.
Alla Funzione Pubblica, sulla poltrona che fu di Massimo Severo Giannini, di Cassese, di Bassanini, è stato messo un non tecnico come Nicolais.
Quest’ultimo ha prodotto un DDL di riforma della Dirigenza che non tocca in nulla lo spoils system, il meccanismo che precarizzando la dirigenza, la fidelizza alla politica e la rende manipolabile.
Si è buttato un anno nel progetto di Agenzia Nazionale della Formazione Pubblica, dichiarando chiusa la Scuola Superiore di Pubblica Amministrazione proprio mentre questa era faticosamente arrivata a bandire il quarto concorso nazionale per il reclutamento di giovani dirigenti. Il progetto di sciogliere la Scuola è stato poi sconfitto – come era prevedibile - in sede di legge finanziaria. Tutta la faccenda è stata caratterizzata da scarsa ponderazione e pressappochismo, da leggerezza incosciente, quasi che il tema cruciale del reclutamento e della formazione dei giovani dirigenti pubblici fosse solo una scusa per regalare una poltrona importante a qualcuno.
Non ha avuto seguito l’allarme lanciato da Nicola Rossi, sul prossimo pensionamento di un buon quarto dei dipendenti pubblici. Invece ha avuto larga eco il prof. Ichino, che con i suoi articoli sul Corriere della Sera si è dato la fama di castigamatti dei fannulloni che si annidano nella PA. La risposta del governo quale è stata? Reclutare con criteri più severi i dipendenti pubblici? Giammai. Al contrario, si è proceduto alla stabilizzazione dei precari, a ulteriore conferma che nulla è più permanente in Italia del transitorio. La PA si è confermata, ancora una volta, nell’immaginario collettivo, una grande distributrice di posti di lavoro per persone poco qualificate, più che una organizzazione che deve servire al progetto di governo.
Infine c’è l’art. 5 della controriforma Mastella dell’Ordinamento Giudiziario, che avrebbe riportato i Dirigenti del Ministero della Giustizia all’umiliante condizione di cancellieri capo. Non è passato solo per una questione di tempo, ma anche qui: grazie della considerazione.

Cosa ci riserva il futuro? Di certo è paradossale che si voglia tornare alle urne al grido di “la parola agli elettori”, solo per farli votare con una legge che li ha espropriati completamente del diritto di scegliere, e per impedir loro di esprimersi attraverso il referendum. Io credo auspicabile una grande coalizione sul modello tedesco, che affronti una volta per tutte i nodi irrisolti della politica, e della sua capacità di rappresentare il paese. Ma non sono ottimista.

E poi? Toccherà ancora una volta scegliere tra due settuagenari dal dubbio senso dell’umorismo? Che bello se costoro si concedessero un momento di introspezione, come il signor Spock in 'Star Trek VI: Rotta verso l'ignoto' quando dice:
"E' possibile che noi due, Kirk, lei ed io, siamo diventati tanto vecchi e tanto inflessibili da essere sopravvissuti alla nostra utilità? Ne coglie il triste velo di ironia?"

Magari…



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