Il culetto di Venere

Esattamente dieci anni fa ero alla Fiera di Roma per svolgere le preselezioni al concorso della Scuola Superiore di Pubblica Amministrazione. Ex Ufficiale di Marina, laureato in Legge, con qualche esperienza di lavoro all’estero, una pesante tradizione familiare sulle spalle che sembrava esigere da me che diventassi Magistrato, pena il mio completo fallimento esistenziale e lo sdegnato rimprovero dall’Oltretomba di molte generazioni di antenati servitori dello Stato - non avevo esattamente le idee chiare su cosa volessi fare da grande. Le selezioni andarono bene, fui chiamato agli scritti e poi, un anno dopo, agli orali: inaspettatamente li superai, nonostante avessi fatto di tutto per indispettire la commissione d’esame (farsi aria con un ventaglio cinese e dondolarsi sulla sedia con aria di sufficienza strafottente non sono esattamente i modi migliori per rendersi simpatici, ma, clementi o ironici che fossero quel giorno, mi promossero).

Così oggi mi trovo dirigente, un mestiere che certo non era nei miei sogni di bambino (volevo fare l’archeologo) ma che mi sta come un guanto: soddisfa la mia inclinazione al dispotismo (“attitudine al comando”, si chiama sotto le armi), la mia voglia di semplicità (nella PA non si finisce mai di sbrogliar matasse), un certo mio gusto al tempo stesso per la forma e per l’anticonformismo. Dirigere grandi quantità di persone (oggi ne ho 200) è stato molto educativo: occorrono competenze emozionali, empatia, capacità di mediazione e negoziazione, pazienza. Tutte cose che certo non erano nel mio bagaglio di partenza (sono uno che pensa che la miglior maniera di sciogliere un nodo è tagliarlo con un’ascia), e che ho dovuto imparare strada facendo.
Le migliori soddisfazioni le ho avute nel contatto con il pubblico: il cittadino che arriva prevenuto, aspettandosi di incontrare un burocrate stolido ed ostile, quasi si illumina quando si trova di fronte qualcuno che lo capisce e lo aiuta.

Soprattutto il corso alla SSPA fu una bella esperienza. Due anni e sei mesi, in mezzo alle persone più varie. Non feci in tempo a conoscerle tutte. Con alcuni sono diventato amico, con tutti siamo rimasti in costante e quotidiano contatto, grazie alla risorsa della posta elettronica. I miei compagni di corso costituiscono ancora oggi una riserva di nuovi amici e inaspettate sorprese. Un gruppo stimolante le migliori energie creative, come dimostra l’invenzione del Controsito. La fantasia, dopotutto, è andata al potere.

Eravamo 138: avremmo potuto costituire un plotone compatto di innovatori al servizio di un grande progetto di riforma; fummo invece spolverati, come il parmigiano, tra molte amministrazioni, e certo nella massa il nostro contributo non si nota moltissimo. Forse non è stata la rivoluzione, ma, in quel pezzettino di Stato che è stato affidato alle nostre cure, abbiamo certo fatto la differenza: come diceva Gandhi, “Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”.

Sono grato allo Stato che mi ha dato, in un paese che odia i giovani, una grande occasione. Peccato che, come spesso avviene, il nostro progetto fu modificato in corsa, senza nemmeno attendere i risultati. Le varie convulsioni della politica hanno colpito anche noi, e - tra spoils system, riforma Frattini, spacchettamento dei Ministeri, stabilizzazione dei precari - l’ispirazione iniziale di fare della PA un settore produttivo al servizio del Paese, piuttosto che la sua palla al piede, si è persa per strada. Quel giorno, dopo le selezioni, andai a vedermi le collezioni archeologiche dei Musei Capitolini, superbamente allestite in mezzo all’archeologia industriale della Centrale Montemartini di Via Ostiense. Ricordo l’emozione quasi erotica alla scoperta della Venere Esquilina: il suo corpicino giovane ed appetitoso, il sederino sodo, perfetto. Pochi marmi sono più vivi e palpitanti di questo.
Sono tornato a vedere la mia Venere oggi, per celebrare degnamente l’anniversario. È sempre eccitante come allora.
Va bene la PA, evviva la Dirigggenza, ma se rinasco faccio l’archeologo.

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Vedi sul Controsito il programma dei festeggiamenti del Decennale

Commenti

  1. Ma allora non c'è speranza? La PA italiana rimarrà per sempre la nostra palla al piede?

    ... non potremmo darla in outsourcing? Tanto peggio di così, almeno spendiamo meno...

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  2. Beppe Grillo ama ricordarci che siamo dipendenti dei cittadini, ed ha perfettamente ragione. Però sarebbe ora che questo grande padronato collettivo si interessasse della sua proprietà, anziché comportarsi come un possidente che vive di rendita. Invece in Italia la "Res Publica" è "Res Nullius", e, come ha scritto bene Cossiga "Italiani sono sempre gli altri". Non ho mai pensato che la PA sia una 'palla al piede': è così che la si vuole considerare perché fa comodo non identificare altre responsabilità, comprese quelle del 'privato' che sembra sempre la soluzione miracolosa a tutti i problemi, ma che quando è messo seriamente in competizione (almeno quello italiano) va in affanno e cerca protezioni. Per questo la formuletta 'outsourcing' non risolve nulla: veniamo da un decennio di privatizzazioni massicce e non mi pare che telefoni, ferrovie, poste (taccio, per carità patria, della nostra compagnia di bandiera), ora che sono private, funzionino meglio di prima.

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  3. La battuta sull'outsourcing è ovviamente una provocazione; ma la domanda diventa: c'è qualcosa che si può fare?
    Io non mi voglio rassegnare a questo stato di cose, ma sono sempre più in difficoltà anche soltanto a sperare che le cose possano migliorare.

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  4. Sì, c'è qualcosa che si può fare: rimboccarsi le maniche. Che è quello che io faccio nei miei uffici.
    Non posso rispondere per tutto lo Stato, ma, come dice il proverbio: "Se ciascuno tiene pulito davanti a casa sua, tutta la città sarà pulita"
    ;-)

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