Le lacrime di un giudice e le servitù della giustizia

"Ho visto le fotografie del GIP Forleo in lacrime con imbarazzo e disagio...
Non mi piace anzitutto che un funzionario dello Stato manifesti pubblicamente le sue emozioni. Si potrebbe osservare che le emozioni sono state provocate dalle insinuazioni e dalle accuse di cui Clementina Forleo è stata oggetto nelle ultime settimane. A me sembra invece che le colpe dei suoi avversari e detrattori siano pur sempre meno importanti, per la dignità delle istituzioni, del modo in cui il GIP ha gestito le sue apparizioni pubbliche.
Forleo non ha torto, almeno «tecnicamente», quando afferma: «Finché non ci sarà un editto che stabilisca quali magistrati possono parlare e quali non possono, quando possono o non possono farlo, sempre al di là della riservatezza legata alle questioni sugli atti d’ufficio, io ritengo di parlare, come fanno gli altri miei colleghi, assumendomi tutte le mie responsabilità. Ci sono molti magistrati indipendenti che vogliono far sentire la loro voce» (Corriere di ieri).Ma non si può apparire alla televisione, dare interviste e fare dichiarazioni in pubblico senza accettare gli effetti, le conseguenze, i rischi e le regole del gioco che questa esposizione mediatica finisce inevitabilmente per produrre.
Uno degli aspetti più sconcertanti di questi ultimi anni è l’uso che molti magistrati, soprattutto procuratori, hanno fatto della loro notorietà. Hanno scritto, concesso interviste, partecipato a presentazioni di libri e pubblici dibattiti, firmato manifesti, preso parte a manifestazioni di piazza. Tralascio il fatto che il tempo impiegato in queste attività è stato inevitabilmente sottratto alle loro funzioni e mi limito a osservare che, pur ricercando i riflettori della pubblicità, non hanno mai voluto accettarne pienamente le regole.
Si sono comportati come «politici», nel senso più largo della parola, ma hanno sempre preteso di essere trattati come magistrati. Hanno polemicamente sostenuto che i loro imputati avrebbero dovuto difendersi «nel processo», non «contro il processo»; ma hanno fatto altrettanto difendendo la loro azione sulla pubblica piazza anziché esclusivamente con gli atti del loro ufficio e nelle aule dei tribunali. Lo avrei compreso e giustificato, nel caso dei procuratori, se avessero accettato la separazione della carriera inquirente dalla carriera giudicante.
Ma volevano essere contemporaneamente personaggi popolari, pubblici accusatori e «bocca della legge». Credo che queste considerazioni valgano anche per Clementina Forleo..."

Sergio Romano sul Corriere della Sera di oggi

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