Decidere di diventare grandi
Non amo i libri. Non leggo per mero amore della letteratura o per piacere intellettuale. È un’affermazione che potrà stupire chi conosca la vastità della mia biblioteca, e la mia passione per la poesia. Ma è così: ogni libro che ho letto l’ho prima scrutato, annusato con diffidenza; non ne ho mai comprato più d’uno alla volta, e sempre a seguito di un colpo di fulmine. Un libro che non mi fa crescere lo considero una perdita di tempo. Ha scritto Emile Cioran, che
Alcuni li ho riletti centinaia di volte, come “La caduta” di Camus. Altri una volta sola, ma ne porto indelebile il ricordo. Ne ho ritrovato uno che fu particolarmente importante: “Dimmi da quanto è partito il treno” di James Baldwin, che acquistai usato, su una bancarella (quanti libri decisivi si trovano sulle bancarelle!).
Ero un adolescente rimasto precocemente orfano, dovevo crescere e diventare uomo, e dovevo farlo da solo e senza modelli, e quella storia di un giovane negro (allora si poteva dire “negro”, i dittatori del politicamente corretto non avevano assunto il controllo della lingua) che diventava attore, quella storia di emancipazione sofferta e struggente, di un ragazzo che simboleggiava un popolo intero, produceva in me vibranti assonanze, era una promessa di riscatto. Mentre tutto, attorno a me, sembrava inneggiare al fatalismo, all’ineluttabilità della disgrazia, di colpo capii che si può, a forza di volontà e passione, liberarsi dalle catene del proprio destino.
Ritrovo sottolineati alcuni passaggi illuminanti:
E questo dialogo tra Leo e Barbara:
Non so se sono diventato grande. Ma so che ci ho provato con tutto il cuore.
«Un libro deve frugare nelle ferite, anzi deve allargarle e provocarne di nuove. Un libro deve essere pericoloso».
Alcuni li ho riletti centinaia di volte, come “La caduta” di Camus. Altri una volta sola, ma ne porto indelebile il ricordo. Ne ho ritrovato uno che fu particolarmente importante: “Dimmi da quanto è partito il treno” di James Baldwin, che acquistai usato, su una bancarella (quanti libri decisivi si trovano sulle bancarelle!).
Ero un adolescente rimasto precocemente orfano, dovevo crescere e diventare uomo, e dovevo farlo da solo e senza modelli, e quella storia di un giovane negro (allora si poteva dire “negro”, i dittatori del politicamente corretto non avevano assunto il controllo della lingua) che diventava attore, quella storia di emancipazione sofferta e struggente, di un ragazzo che simboleggiava un popolo intero, produceva in me vibranti assonanze, era una promessa di riscatto. Mentre tutto, attorno a me, sembrava inneggiare al fatalismo, all’ineluttabilità della disgrazia, di colpo capii che si può, a forza di volontà e passione, liberarsi dalle catene del proprio destino.
Ritrovo sottolineati alcuni passaggi illuminanti:
“La determinazione di superare con l’intelligenza la propria situazione vuol dire la rinuncia ai modelli, vuol dire fermarsi solo alle lezioni subite”
E questo dialogo tra Leo e Barbara:
“Non si può decidere di diventare grandi”
“Alcuni possono, alcuni devono”
“E secondo te io sono uno di questi?”
“So che lo sei, l’ho sempre saputo”.
Non so se sono diventato grande. Ma so che ci ho provato con tutto il cuore.
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