Chi di secessione ferisce...



Lo ammetto: sto gongolando. Leggo le reazioni stizzite del "Governatore" (così ama farsi chiamare, anche se non ne ha diritto) del Veneto, Galan, e sono in piena Schadenfreude. Il trionfo del referendum tenutosi per separare Cortina d’Ampezzo e alcuni comuni limitrofi dal Veneto e passare all’Alto Adige è un fatto che trascende la cronaca locale.

Negli ultimi venti anni, il lessico della politica italiana si è nutrito di termini come “federalismo”, “autonomia”, “devoluzione”, e via discorrendo. L’origine di tutti i mali veniva indicata dai nuovi demagoghi nell’odiato “centralismo romano”, nella burocrazia statale che risiede a Roma (“ladrona”, ovviamente). Tutti gli schieramenti politici hanno nel tempo flirtato con l’autonomismo, anche se questo era minoritario nel paese, mettendo in cantiere perniciose riforme costituzionali che hanno seriamente minato l’impianto unitario della Repubblica.
Tanto rumore per nulla: la rivolta anticentralista, lungi dal produrre “meno Stato, più mercato” ha invece prodotto solo più province, più comuni, e una pletora di comunità montane, persino in luoghi quasi pianeggianti. Mentre lo Stato subisce tagli sempre più ampi, aumentano le burocrazie locali.

Il nostro sistema di autonomie è andato così in là da rendere lettera morta l’art. 3 della Costituzione, quello che sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla Legge. Di fatto, vale il motto orwelliano: "tutti i cittadini sono uguali, ma alcuni sono più uguali (cioè più assistiti, più autonomi, meno pressati dal fisco) degli altri."

Stupirsi allora che i cittadini di Cortina si siano fatti i conti in tasca e di fronte alla prospettiva di pagare 251 euro di Ici invece di 1.899 abbiano votato in massa per passare all'Alto Adige? Non ci avevano spiegato che i capitali migrano verso i paesi che hanno il miglior trattamento giuridico e fiscale, senza aver riguardo alle frontiere? Ecco che gli ampezzani, invece che muoversi loro, hanno fatto muovere il confine. È una forma di migrazione anche questa.

Gli è che se i padri della Patria concepirono l’Italia come uno Stato unitario e centralizzato, anziché come uno Stato federale, come pure predicava Cattaneo, avevano le loro buone ragioni: lasciate a sé stesse, le tendenze particolaristiche e corporative, proprie della società italiana, producono un moto centrifugo di progressiva frammentazione.

Una volta ammesse eccezioni alle regole, ognuno ne vuole per sé, perché, come avvertiva Albert Camus: “siamo tutti casi eccezionali. Tutti vogliamo appellarci a qualcosa!”.
L’ Italia, è, in fondo, una fragile Repubblica federale di 57 milioni di entità autonome, di splendide individualità tenute ancora miracolosamente insieme da uno Stato sempre più debole, guidato da personale politico sempre meno preparato e responsabile.
Basta guardare al di là dei confini e vedere cosa è successo alla Yugoslavia, e cosa rischia di capitare al Belgio, per capire, fatte le debite differenze, dove si va a parare quando si spinge sul pedale delle gelosie e degli egoismi di campanile.

Fu in Veneto che le spinte al localismo divennero fenomeno politico nazionale, con una piccola formazione nota come Liga, capostipite ed antesignana di tutte le Leghe padane. È significativo, allora, che proprio il Veneto paghi per primo un prezzo al verbo dell’autonomismo e
del secessionismo.
Già, perché se l’identità nazionale dell’Italia è fragile, non è più forte quella delle regioni (molte delle quali, il Lazio in primis, non corrispondono ad alcuna unità politica o culturale preesistente).
Il referendum di Cortina è un salutare campanello d’allarme per tutti: una volta messi in moto certi meccanismi, nessuno è in salvo.

Chi di secessione ferisce…

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In figura: il Veneto stretto tra due regioni a Statuto Speciale, è a rischio secessione. La provincia di Belluno, attivando la procedura di cui all'art. 132, 2°co. Cost. potrebbe passare armi e bagagli a una delle regioni vicine, seguita dalle altre.




Commenti

  1. Caro Dario,
    hai colto nel segno.
    Quello che vedi altro non è che il riflesso della cosiddetta "rivolta dei ricchi", il fenomeno che sta mettendo in crisi lo Stato nazione in tutto l'Occidente. La rivolta dei ricchi vuol dire migrazione delle basi imponibili - leggi fughe dei capitali all'estero e delocalizzazioni produttive - e correzione delle frontiere. Qualcosa rispetto alla quale gli Stati nazione sono impreparati, perchè nati per proteggere le frontiere e l'ordine costituito dagli assalti dei rivoluzionari. Cioè dei poveri.
    Contro questo c'è poco da fare. C'è soltanto da rafforzare la competitività del sistema Paese. Un'impresa sisifica da noi.
    Ma se lo Stato non abbatte le tasse e riduce i costi di gestione, c'è poco da fare.

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