La legge è legge...

"La legge si interpreta agli amici e si applica ai nemici"
Giovanni Giolitti
La legge è uguale per tutti o no? Commentando l’ordinanza di Firenze contro i lavavetri, Fausto Bertinotti ha risposto, molto lucidamente, di no. C’è un’idea radicata, a sinistra, per cui i soggetti marginali abbiano diritto a una maggiore tolleranza (ricordate quando il TG3 chiamava “razzisti” i NAS perché chiudevano i ristoranti cinesi non in regola con le norme igieniche?): “Preferirei tolleranza zero contro il racket, piuttosto che contro i lavavetri” ha detto il presidente della Camera. Cadendo tra l’altro in un grosso equivoco, perché il concetto di “tolleranza zero” vuol dire che le leggi si applicano sempre, tutte e a tutti: chi l’ha detto che il rigore contro i lavavetri escluda quello contro il racket, o i corrotti, o gli evasori fiscali?

Non mi stupisce che Bertinotti, e altri, abbiano una visione classista della legalità. Ma bisogna capire che questo significa una interpretazione politica delle leggi, per cui chi è al governo decide quali leggi sono da applicare più di altre, e quali categorie sociali sono da colpire più di altre. Che è poi l'applicazione, magari più sofisticata, e colorata di ragioni 'sociali', del vecchio motto giolittiano.
Allora non stupiamoci se poi, cambiato il colore politico del governo, cambiano anche le categorie sociali e giuridiche, se il favore che una determinata parte politica ha per i lavavetri, diventa favore di un’altra per i corrotti o gli evasori fiscali.

Si parla tanto di legalità, ma la legalità è (dovrebbe essere) un valore pre-politico. Non esiste, non deve esistere una legalità di ‘destra’ e una di ‘sinistra’ (l’assessore fiorentino è DS, ma so già che verrà scomunicato). In Italia invece su questo non c’è consenso, l’applicazione delle leggi è divenuta arma politica, quindi è ovvio che le categorie (occasionalmente) colpite strillino alla persecuzione. Perché non sarebbero così colpite, sotto un altro governo. La giustizia di classe non è giustizia, punto.

A me dispiace per i lavavetri che si guadagnano la vita, ho comprensione per i loro bisogni: ma se in un percorso Roma-Ostia ci sono quaranta semafori, se a ciascuno c’è chi cerca di lavarmi per forza il parabrezza, posso consentirmi di essere un pochettino esasperato? Ho diritto alla mia sfera personale, a passeggiare per piazza del Pantheon con una ragazza senza che la solita zingara (oops… nomade, rom…) tenti di appiopparmi una rosa? Io queste cose le vivo come violenze, piccole, certo, ma che concorrono alla tensione e allo stress di una giornata.

E proviamo (noi maschietti) a metterci nei panni delle donne. Quanto più una città è insicura, tanto più lo è per le donne: che infatti da noi vanno raramente in giro da sole la sera.

Non si può predicare una tolleranza senza regole, non si può, lo ripeto, demonizzare la richiesta di sicurezza come ipocrisia (come ha fatto Giuseppe d’Avanzo su Repubblica): a furia di tirare la corda, la corda si spezza. Si guardi cosa è successo all’Olanda, un tempo paese tollerante ed accogliente.

O cominciamo a capire che la legge è l’uguale garanzia di tutti noi, poveri e ricchi, di destra e di sinistra, o lasciamo alla politica, alla magistratura, alla polizia, una discrezionalità eccessiva su quali leggi fare e applicare: e questa non si chiama democrazia.

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