Il fattore Cappa
La faccenda di Garlasco è grottesca, ed in questo suo essere grottesca è così tremendamente italiana, un copione da film di Alberto Sordi, solo che non fa ridere.
Una ragazza, Chiara Poggi, viene uccisa in circostanze misteriose. E le sue cugine – le ormai famose gemelle Cappa, ex aspiranti veline – pensano bene di diffondere una loro foto insieme all’uccisa, tutte vestite di rosso. Solo che la foto si rivela presto un fotomontaggio, anche malfatto. L’Italia tutta si mette a ridere, ma ci sarebbe da piangere, perché niente da noi, nemmeno un omicidio, riesce ad essere serio fino in fondo, perché il confine tra tragedia e farsa, tra mito e mitomania, è così labile. Siamo in fondo il paese che ha inventato il melodramma, dove tutti muoiono per potersi poi rialzare e ricevere gli applausi.
Così viene aperto anche un concorso per il miglior fotomontaggio con protagoniste le due gemelle, c’è un sito apposito, ed infine arriva a Garlasco, a fare passerella, Fabrizio Corona, tamarro vissuto nel sottobosco del mondo dello spettacolo fin quando è stato coinvolto nell'inchiesta su Vallettopoli, e che dopo un periodo di detenzione è diventato famoso che nemmeno Silvio Pellico.
Sembra di vedere un remake padano e pecoreccio di un vecchio film di Billy Wilder, Ace in the Hole (1951, foto) - sinistro presagio del circo mediatico dei tempi moderni - dove il giornalista Kirk Douglas trasforma il teatro di una tragedia mineraria in un luogo di attrazione e divertimenti.
Sul caso Cappa psicologi di chiara fama sputano sentenze, le sputano i giornalisti (Vittorio Feltri che deplora - LUI - il cattivo gusto!), tutti Soloni a puntare il dito contro le due, ree di opportunismo, ipocrisia, volgarità, voglia di apparire: cioè proprio quelle qualità negative che hanno permesso negli anni a un mucchio di personaggi umanamente ed artisticamente inconsistenti (Vittorio Sgarbi, Paris Hilton, Wanna Marchi, le sorelle Lecciso, etc.) di sfondare e far carriera (Piero Manzoni aveva torto, non occorre essere artisti per vendere merda). Ma giornali e telegiornali quotidianamente pieni di immagini taroccate, notizie false, interviste compiacenti, mezze verità, sono davvero un pulpito da cui fare la predica?
La vera colpa delle gemelline “Kappa” sembra allora non l’essere trash, ma non esserlo state abbastanza - troppo artigianali ed inesperte nella loro manipolazione, troppo ingenue e provinciali nella gestione della loro immagine - per entrare da protagoniste in un mondo che ricerca indefessamente il fenomeno da baraccone per farne un divo.
Cattive allieve di cattivi maestri. Ma mostri, quello no: piuttosto cittadine a pieno titolo di questa repubblica di guardoni e puttanelle, che appena un mese fa Adrian Michaels descriveva impietosamente sul Financial Times, dove la velina è diventata modello assoluto di vita e di femminilità.
Una ragazza, Chiara Poggi, viene uccisa in circostanze misteriose. E le sue cugine – le ormai famose gemelle Cappa, ex aspiranti veline – pensano bene di diffondere una loro foto insieme all’uccisa, tutte vestite di rosso. Solo che la foto si rivela presto un fotomontaggio, anche malfatto. L’Italia tutta si mette a ridere, ma ci sarebbe da piangere, perché niente da noi, nemmeno un omicidio, riesce ad essere serio fino in fondo, perché il confine tra tragedia e farsa, tra mito e mitomania, è così labile. Siamo in fondo il paese che ha inventato il melodramma, dove tutti muoiono per potersi poi rialzare e ricevere gli applausi.
Così viene aperto anche un concorso per il miglior fotomontaggio con protagoniste le due gemelle, c’è un sito apposito, ed infine arriva a Garlasco, a fare passerella, Fabrizio Corona, tamarro vissuto nel sottobosco del mondo dello spettacolo fin quando è stato coinvolto nell'inchiesta su Vallettopoli, e che dopo un periodo di detenzione è diventato famoso che nemmeno Silvio Pellico.
Sembra di vedere un remake padano e pecoreccio di un vecchio film di Billy Wilder, Ace in the Hole (1951, foto) - sinistro presagio del circo mediatico dei tempi moderni - dove il giornalista Kirk Douglas trasforma il teatro di una tragedia mineraria in un luogo di attrazione e divertimenti.
Sul caso Cappa psicologi di chiara fama sputano sentenze, le sputano i giornalisti (Vittorio Feltri che deplora - LUI - il cattivo gusto!), tutti Soloni a puntare il dito contro le due, ree di opportunismo, ipocrisia, volgarità, voglia di apparire: cioè proprio quelle qualità negative che hanno permesso negli anni a un mucchio di personaggi umanamente ed artisticamente inconsistenti (Vittorio Sgarbi, Paris Hilton, Wanna Marchi, le sorelle Lecciso, etc.) di sfondare e far carriera (Piero Manzoni aveva torto, non occorre essere artisti per vendere merda). Ma giornali e telegiornali quotidianamente pieni di immagini taroccate, notizie false, interviste compiacenti, mezze verità, sono davvero un pulpito da cui fare la predica?
La vera colpa delle gemelline “Kappa” sembra allora non l’essere trash, ma non esserlo state abbastanza - troppo artigianali ed inesperte nella loro manipolazione, troppo ingenue e provinciali nella gestione della loro immagine - per entrare da protagoniste in un mondo che ricerca indefessamente il fenomeno da baraccone per farne un divo.
Cattive allieve di cattivi maestri. Ma mostri, quello no: piuttosto cittadine a pieno titolo di questa repubblica di guardoni e puttanelle, che appena un mese fa Adrian Michaels descriveva impietosamente sul Financial Times, dove la velina è diventata modello assoluto di vita e di femminilità.
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