Sette anni su Internet
Sette anni fa, dalla Sala Computer della Scuola Superiore di Pubblica Amministrazione mettevo online, su un server gratuito di Digilander, e con l'aiuto di Maurizione Rinaldi, il mio primo sito.
Poi vennero il sito AllieviSSPA e il Controsito, il sito degli Hash, quello dell’Unadis, il mio Blog. Se il primo sito era una sorta di vetrina, arricchendosi poi di contenuti di servizio, il Blog è stato una palestra di scrittura e di riflessione su piccoli e grandi temi. Con una presenza costante su internet ho potuto documentare la mia attività, fare incontri quasi sempre interessanti, ritrovare vecchi amici (e trovare giovani amiche ;-) e compagni di scuola e di Accademia. Ho avuto oltre 140.000 visite e conto lettori affezionati, tra cui qualche inevitabile ma innocuo maniaco (un dirigente in pensione delle Comunicazioni, rimbambito, ed una mia ex tedesca, ossessiva).
Sette anni fa stare su Internet era difficile e dispendioso. Anni ruggenti, a guardarsi indietro. La rete era percorsa da dilettanti e sciacalli, sedicenti ‘imprenditori’ convinti di aver trovato un modo per guadagnare senza faticare.
Uno speculatore sardo, Nicky Grauso, si era registrato tutti i cognomi italiani. Fu il maggior fenomeno di cybersquatting nel nostro paese. Per farmi usare il mio nome avevano tentato di stoccarmi una milionata. Aspettai che la registrazione al Nic scadesse e lo presi il giorno dopo per una sessantina di euro. Poi, il mio primo provider fallì, e rischiai di perdermi tutti contenuti.
Oggi un generoso spazio server e un dominio mi costano appena 11 €.
Poi c’era la questione della codifica. Il mio primo editor fu (orribile a dirsi), Word. Poi imparai a usare Java, un po' di DHTML. Oggi so modificare un CSS e poco più.
I blog ed i wiki hanno aperto a tutti la possibilità di pubblicare contenuti usando templates preformattati e pannelli di controllo senza bisogno di editors e di ftp (caro vecchio Cute!). Molto più comodo, anche se il web che ne risulta è piuttosto monotono. Il php basato su database ha permesso di superare la struttura gerarchica ad albero, basata sull’antiquato concetto di directory derivato dal mondo dei pc da tavolo. L’innovazione dei permalink ha dato un senso più completo alla nozione di URL.
Infine, Google, che ha trasformato una fragile ragnatela di link in un’efficiente banca dati.
Abbattuti a livelli ragionevoli i costi di accesso, è sperabile che un giorno si possa superare anche la tirannia dei nomi a dominio e dei provider e dar vita ad un’internet finalmente decentralizzata, secondo il modello del per-to-peer. Non c’è nessuna ragione tecnica per cui uno non potrebbe farsi il proprio server casalingo e tenere i propri contenuti presso di sé. E soprattutto non esiste un motivo per cui l’ICANN debba esercitare un monopolio sui nomi a dominio, regalando soldi alle autorità di registrazione e a speculatori di tutto il mondo. Non bastano le figuracce fatte con i domini .tv, .fm, .eu, e la patetica vicenda del .xxx? Perché dovrebbero esistere solo TLD geografici e non linguistici (per i contenuti in latino, per esempio)? Perché non posso avere un sito www.quintavalle.dq? Ma sono pronto a scommettere che presto questo problema sarà superato.
Ma a che serve stare su internet? Sette anni fa avere un proprio sito personale era una vera novità. Oggi invece la possibilità di farsi un blog è alla portata di tutti, ma bisogna ancora scontare il pregiudizio dei profani che mettersi su internet (se non si ha un’impresa o un prodotto) sia un atto di profondo narcisismo. Forse. Ma a me piace pensare che offrire le proprie opinioni ed esperienze allo scrutinio del pubblico sia soprattutto un atto di umiltà e trasparenza.
Partecipo, insieme a milioni di altre persone, a una grande comunità che costruisce quotidianamente una memoria collettiva ed un sapere non gerarchizzato e non controllato. È davvero ironico che il web sia nato in un ambiente accademico, quando esso è diventato lo strumento eversivo che ha permesso di liberarsi dal monopolio dell’accademia e dell’editoria per la diffusione di conoscenza ed informazione.
Certo, c’è un’offerta sovrabbondante, un chiacchiericcio incessante, e la maggior parte dei contenuti in rete sono del tutto superflui. Ma, è questo il bello, si può scegliere.
Il web, in fondo, è una grande metafora liberista: qui la rilevanza di ognuno è data dalla capacità di offrire qualcosa di interessante. Ciascun nodo di questa rete è evitabile, sorpassabile. Nessuno può imporre dazi. L’esclusivismo non è possibile, occorre saper attrarre. I soliloqui sono possibili, ma vince chi sa dialogare. La concorrenza è assoluta e perfetta, c’è spazio per tutti, e c’è una possibilità di confronto pressoché immediata. Internet è un mercato perfetto, da manuale. Dove meglio poteva trovarsi, allora, un liberale come me?
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