Ritorno alla SSPA

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IN BOCCA AL LUPO ;-) !!!

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Dario Quintavalle

(II CCFD, Dirigente del Ministero della Giustizia)

Intervento al primo incontro della SSPA con gli ex allievi dei corsi di formazione dirigenziale,

Roma, 11 Aprile 2007


Una settimana fa ero a Strasburgo, a seguire il primo degli “Incontri della Gestione Pubblica” organizzati dall’ENA. Proprio in quei giorni, il candidato alle presidenziali Bayrou, dell’ENA proponeva la soppressione. Ne seguiva un acceso dibattito, con l’opinione pubblica divisa quasi perfettamente tra favorevoli e contrari. Dunque, il tema della formazione e selezione della classe dirigente politico-amministrativa è in Francia un argomento principale della campagna presidenziale, e suscita ampio e controverso dibattito pubblico. Nulla di tutto questo avviene in Italia. L’annunciata soppressione della SSPA è passata quasi sotto silenzio, nell’indifferenza dei mass media e dell’opinione pubblica.


Se mai in Italia si parla di Pubblica Amministrazione, è per riproporre (Ichino) i luoghi comuni che la vogliono refugium peccatorum di tutti i falliti, scansafatiche, incapaci, pigri, lazzaroni, mangiapane a tradimento del nostro paese.

Per avviare un profondo rinnovamento della P.A. non servono ricette fantasiose: l’unico credibile modo è di fare appello a energie giovani, a forze fresche, all’entusiasmo di una nuova leva di dirigenti e funzionari, che possano affiancarsi ai più anziani e beneficiare della loro esperienza prima di sostituirli.
Ricordo che il Presidente Ciampi, ricevendo noi ex allievi SSPA al Quirinale, auspicò che ogni anno, con regolarità, ci fosse una “vendemmia” di giovani dirigenti, un programma che consentisse alle migliori energie del paese di considerare una carriera nel pubblico impiego.
Metafora agricola assai pertinente: perché chi raccoglie, vuol dire che prima ha seminato. Mentre chi non ha avuto la lungimiranza di seminare, poi si trova, nel bisogno, a raccattare qua e là quello che trova.

La soppressione della Scuola, personalmente, mi addolora, e non solo per motivi sentimentali: presto noi saremo ex allievi di qualcosa che non esiste più. Come "Allievisspa" saremo alla stessa stregua di una automobile Innocenti, o di una macchina da scrivere Olivetti: ottimi prodotti di una fabbrica che, però, ha chiuso. Difficile considerare distintivo un brand che non è più sul mercato.

Dell’indifferenza della pubblica opinione alle sue sorti, la Scuola rimproveri innanzitutto sé stessa. Un qualunque industriale sa benissimo che il prestigio del marchio e la qualità del prodotto si influenzano reciprocamente. La Scuola ha invece mancato clamorosamente – almeno finora - nel valorizzare il suo prodotto principale, cioè i suoi allievi. [...]È quindi tanto più apprezzabile l’iniziativa della nuova Direttrice della Scuola, professoressa Termini – che ringrazio - di organizzare questo primo (e speriamo non ultimo) incontro con i dirigenti ex allievi.

Quale che sia il destino della Scuola, un nuovo Corso Concorso è infatti in fase di preparazione, ed occorre quindi interrogarci su cosa della nostra esperienza merita di essere salvato, e cosa invece dovrebbe essere cambiato. È nostro dovere offrire un contributo propositivo.

Vorrei quindi sinteticamente soffermarmi su alcuni aspetti che sono, a mio modesto avviso, i pro e i contro della nostra esperienza, e provare a trarne alcuni insegnamenti e raccomandazioni.


A) I pro:

  1. In un paese gerontocratico, e in una PA chiusa a riccio verso l’esterno, la Scuola ha avuto il merito, assoluto ed indiscutibile, di offrire, a tanti giovani, spesso esterni al pubblico impiego, un'occasione, più unica che rara, di entrare direttamente ai gradi alti della Pubblica Amministrazione.

  2. L’esperienza di aver frequentato un corso di lunga durata tutti insieme, e nella medesima sede, ha creato e cementato una rete di solidi legami professionali ed umani (basti pensare che dal nostro corso sono nate oltre dieci famiglie e un gran numero di bambini: più team building di così...! ), uno spirito di corpo, un forte senso della propria identità, che rappresentano un unicum in una Dirigenza, che invece fatica a percepirsi come un corpo professionale, e quindi a collocarsi con pari dignità accanto agli altri grand corps dello Stato, come la Magistratura o la Diplomazia.

  3. La proiezione europea ed internazionale: per tutti è stata curata la formazione linguistica, e inoltre, per una trentina di noi, il corso è culminato con uno stage a Bruxelles, dove la Commissione ci ha riconosciuto il prestigioso status di END. In una PA che colpevolmente trascura la dimensione europea, la nostra apertura al confronto con l’esterno, la nostra dimestichezza con i fori internazionali, sono senz’altro tratti distintivi e peculiari.

  4. La formazione generalista: benché il Ruolo Unico sia stato abolito poco dopo il nostro ingresso in Amministrazione, ritengo che vada rifiutato lo spezzettamento specialistico, e continuo a pensare che la Dirigenza debba soprattutto connotarsi come corpo connettivo unico capace di parlare un linguaggio comune e trasversale a tutta la P.A.: insomma, uno dei grand corps dello Stato.

B) I contro:

  1. Quanto alla formazione ricevuta, pur se di ottima qualità, ritengo negativa una impostazione eccessivamente teorica degli insegnamenti, spesso connotati da sudditanza culturale al modello manageriale privatistico (clamoroso esempio per tutti, la lezione di un responsabile dell’azienda di revisione Grant Thornton, poi coinvolta nello scandalo Parmalat), trascurando invece la valorizzazione di best practices all’interno della PA;

  2. La disparità di trattamento – economico, giuridico, previdenziale – e di garanzie, tra allievi già dipendenti della Pubblica Amministrazione e quelli che non lo erano. Essi sono stati costretti a dimettersi da precedenti impieghi privati per seguire il corso, e poi, nell’intervallo tra la fine della borsa di studio e l’entrata in servizio (un crudele calvario di otto lunghissimi mesi) sono rimasti completamente disoccupati e privi di reddito, e senza garanzie relative all’assunzione;

  3. Più doloroso di tutti, il fatto che la Scuola abbia considerato esaurito il suo compito con la fine del Corso, completamente disinteressandosi del “collocamento del prodotto” presso le Amministrazioni. Non è stato offerto orientamento agli allievi nelle loro scelte professionali, né è stata svolta alcuna funzione di coordinamento tra domanda ed offerta, cosicché spesso è mancata coerenza tra il percorso formativo e l’impiego sul campo (io, per esempio, dopo uno stage alla Commissione Europea alla Direzione dei Trasporti Marittimi e Relazioni Internazionali, sono finito alla Giustizia…). Paradossale, infine, che la Scuola non abbia mostrato interesse ad impiegare i suoi ex allievi nella sua stessa struttura;

  4. La Scuola è stata – almeno fino ad oggi ­- una struttura che insegna, ma che non impara. Essa non ha – sinora – manifestato alcun interesse nel ricevere un feedback da parte dei suoi ex allievi e impiegarlo costruttivamente nella progettazione delle sue esperienze formative.


C) Mi permetto pertanto di fare alcune raccomandazioni per il futuro corso:

  1. La prima è, ovviamente, quella di correggere gli aspetti negativi che ho sottolineato, ed al contrario, valorizzare quelli positivi. Si potrebbe cominciare, ad esempio, coinvolgendo gli ex-allievi nella progettazione del quarto CCFD.

  2. Curare il networking: in una società della Rete come quella attuale, è importantissimo. Il collegamento degli Allievi tra loro, e tra loro e la scuola, deve cessare di essere episodico e volontaristico, per essere formalizzato ed istituzionalizzato. Non credo che il rapporto con la Scuola debba essere mediato dalle varie Associazioni: aderire ad esse deve rimanere una scelta libera ed individuale. Propongo piuttosto che la Scuola, sull’esempio di università e centri di formazione stranieri (come ad esempio quello che ho frequentato a Ginevra) si doti di un Ufficio “Alumni”: una struttura permanente di collegamento e consultazione, che curi il database degli indirizzi e degli incarichi degli ex allievi, ne segua la carriera, e organizzi periodici incontri, e seminari di approfondimento tra loro;

  3. Inoltre, ritengo che per valorizzare la proiezione internazionale degli allievi, la Scuola dovrebbe attrezzarsi per fornire al termine del corso – e riconoscere ai partecipanti dei corsi precedenti - un titolo di studio internazionalmente certificato (magari dall’ European Association for Public Administration Accreditation), come l’ MPA (Master in Public Administration), in modo da consentire agli ex allievi la possibilità di intraprendere fruttuosi periodi di scambio all’estero. La SSPA potrebbe inoltre curare programmi di formazione post-corso presso le altre Scuole Nazionali di Amministrazione;

  4. Gestione delle carriere. [...] Spesso le amministrazioni si sono rivelate impreparate ad accoglierci e ad impiegarci correttamente. Ritengo che la Scuola non dovrebbe limitarsi a formare i suoi allievi, ma più ambiziosamente dovrebbe prefiggersi il compito di accompagnarli, sostenerli ed orientarli durante tutto il corso delle loro carriere. Può far questo intrattenendo rapporti non episodici con le Amministrazioni, affinché esse collochino adeguatamente gli allievi. E può farlo svolgendo un servizio di consulenza ed orientamento per la gestione delle carriere. Un’esperienza come la nostra ha un senso solo se ci consente di aspirare ad incarichi di massima responsabilità: chi va all’ENA sa che accederà ai massimi vertici dello Stato, non solo amministrativi, ma persino politici.

Per concludere vorrei richiamare l’illuminante analisi di Carlo Carboni che, nel suo recente saggio, “Elite e classi dirigenti in Italia” (Laterza), distingue tra ‘èlites’ e classi dirigenti, e sostiene che l' élite italiana non è e non sa farsi classe dirigente. Una élite che non sa farsi classe dirigente concepisce la sua posizione come potere e privilegio, piuttosto che funzione sociale. Quindi è conservatrice, difende le sue posizioni, mentre una matura classe dirigente cresce insieme con la società, l
a ‘constituency’, che amministra. L’elite è statica, mentre una classe dirigente è dinamica, cioè traente.
Ora, chi come noi chi ha scelto la professione di ‘Dirigente’ ha il dovere di uno scatto di orgoglio, di proporre un’idea, precisa e forte, del proprio ruolo all’interno dello Stato, e dello Stato all’interno della società.

Ritengo che abbiamo il dovere di essere ambiziosi e di pensare in grande, non solo per noi stessi, ma soprattutto per la società che rappresentiamo. E spero che questo incontro segni per tutti noi un nuovo e proficuo inizio.
Grazie.

DQ


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