Non ci possiamo morire di vecchiaia!

Il ricambio, anche generazionale, della classe dirigente è questione di grande rilevanza.

Nel futuro prossimo cresceranno in misura significativa i pensionamenti nel pubblico impiego: si stima infatti che nei prossimi cinque anni andrà in pensione un dipendente pubblico su otto, ovvero circa 400mila persone. Da come e in quale percentuale verranno rimpiazzate dipende il futuro della nostra pubblica amministrazione.
Preparare il ricambio generazionale, piuttosto che attardarsi in fantasiose ipotesi di decimazione sommaria (stile Ichino), è il modo giusto per sfruttare un’occasione assolutamente unica per rinnovare la Pubblica Amministrazione.

Occorre favorire gli esodi; perlomeno, si elimini l'art. 16 del D.P.R. n. 503/1992 che consente la permanenza in servizio per un biennio oltre i limiti di età.
Credo si debba attuare l’appello che fece il Presidente Ciampi nel celebrare il quarantennio della SSPA: "Il futuro è nelle mani dei giovani che entrano, che entreranno nelle Amministrazioni della Repubblica”, egli disse, auspicando una ‘vendemmia’ annuale di giovani dirigenti e funzionari.

Fare appello a energie giovani, a forze fresche, all’entusiasmo di una nuova leva di dirigenti e funzionari, che possano affiancarsi ai più anziani e beneficiare della loro esperienza prima di sostituirli, è l’unico credibile modo di avviare un profondo rinnovamento delle P.A.

Occorre quindi che il reclutamento e la formazione di giovani dirigenti e funzionari sia frutto di una ben precisa politica di rinnovamento, non più guidata dall’emergenza di coprire buchi e soddisfare domande di uscita dal precariato, ma da una programmazione lungimirante, che, come disse Ciampi “porti nell’organizzazione una linfa nuova di idee e di valori e aiuti a tenere vivo il dialogo con la società”.
Occorre che lo Stato sappia proporsi come un datore di lavoro serio e credibile, capace di offrire opportunità ai giovani almeno pari a quelle che offre il privato.
Occorre che lo Stato sappia attrarre i migliori laureati, i più preparati, ed offrire loro opportunità di carriera e di guadagno ragionevoli e competitive.

L’impiego nello Stato è stato visto troppo a lungo come un “second best” rispetto alla libera professione e al privato. Peggio, esso è stato una valvola di sfogo per la disoccupazione intellettuale, soprattutto meridionale. Un risultato particolarmente indesiderabile è che in esso alcune zone del paese sono sovrarappresentate rispetto ad altre.

Particolari settori dell’impiego pubblico, come la Magistratura, la Banca d’Italia etc, dimostrano invece che rigorosi criteri di accesso uniti a procedimenti di selezione meritocratici possono dar vita a corpi professionali pubblici autorevoli e rispettati dall’opinione pubblica, tali da costituire anche una riserva per incarichi di livello politico.

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