Come vecchi Giapponesi

La mia prima reazione, leggendo del riemergere da un tenebroso passato della sigla insanguinata delle Brigate Rosse, è stata quella di scrivere una mail di solidarietà al prof. Ichino, col quale sono stato in corrispondenza in tempi recenti. Le sue tesi non mi piacevano, ma certo non mi è passato affatto per la mente che avrebbero fatto bene ad accopparlo, memore di quel motto di Voltaire che è il mio Vangelo:
Non sono d’accordo con quello che dici, ma lotterò fino alla morte perché tu abbia la possibilità di dirlo”.
Non sento di avere nulla in comune, non solo nei metodi, ma nemmeno nei fini, con questi signori: le idee, specie quelle scomode, si discutono.

Colpisce quanto tutta la vicenda sappia inevitabilmente di vecchio. Vecchio l’anelito insurrezionale dei Bierre, che fanno la figura dei famosi giapponesi che, isolati nella jungla non si accorsero che la guerra era finita; ma vecchie e risapute anche le analisi, che spiegano i conati a risorgere del terrorismo come una reazione a una società in cui si stanno chiudendo gli spazi di confronto.

Niente di nuovo sotto il sole, in verità: anche trent’anni fa si giustificava l’esistenza del terrorismo in una presunta sordità o cecità della classe politica; anche nel mondo contemporaneo, si tende a spiegare (e spesso a giustificare) il terrorismo internazionale con supposte colpe dell’occidente (le famose “root causes of terrorism”).

Ragionare così è un primo passo verso la legittimazione della violenza armata come reazione a uno stato di fatto politico. Reazione, sbagliata, sì, ma che ha pur sempre le sue radici altrove, nell’azione o non azione della classe politica.
Da qui a dire (o almeno ad implicare) che il terrorismo esiste perché esistono quelle politiche, e dunque l’errore, o il suo germe, non è nel terrorismo stesso ma in quelle politiche che esso combatte, il passo è breve.

Il terrorismo, invece, ha sempre una sua autonomia. Non è una reazione a un bel niente. È un progetto politico (per quanto folle) che usa la violenza non perché esista un regime che non permette di esprimersi in mezzi pacifici: ma, tutt’al contrario, perché opera in una democrazia, in cui esso è infimamente minoritario, e con mezzi pacifici non otterrebbe rilevanza alcuna.
Esattamente come il terrorismo internazionale è il tentativo di ottenere determinati fini politici con mezzi violenti, in condizioni in cui una opzione militare classica non è possibile oppure (come nel caso palestinese) è stata sconfitta sul campo.

Cercare di spiegare l’utopia insurrezionale di pochi come lo sbocco funesto del bisogno di espressione di una opinione pubblica non rappresentata da organi di informazione schierati e partigiani, ciò che renderebbe sempre meno possibile incidere sulle scelte del policy maker (che è poi sempre la stessa solfa della società imbelle ed ebete, ipnotizzata e narcotizzata dalle TV di Berlusconi), significa non cogliere la realtà, che è assai più dinamica.
L’opinione pubblica è sparita solo dai giornali, che hanno scelto di rappresentare solo il teatrino della
politique politicienne, e hanno completamente perso la capacità di analizzare la società, al punto da farsi completamente cogliere di sorpresa dalla corrente ripresa economica.
Ma il monopolio informativo dei giornali ormai è rotto, e ognuno ha l’opportunità di esprimersi in quel mondo affascinante e non gerarchizzato che è la blogosfera. Le opinioni passano attraverso mailing lists, newsletter, i forum veicolano dibattiti. In un mondo in cui tutti possono acquisire visibilità, la scelta di entrare in clandestinità è non solo criminale, ma soprattutto balorda. La società si organizza in rete in modo fluido e articolato. Il fatto che spesso non ci sia chi, nell'establishment politico-giornalistico, sappia ascoltarla, non significa affatto che essa non abbia voce né influenza.

Quando l’opinione pubblica ha l’occasione di decidere sul serio (e non semplicemente di distribuire le carte ad altri attori) decide e si fa sentire. Per esempio, da una decina di anni l’Italia finalmente conosce la democrazia dell’alternanza, e ci si è affezionata. Diversi modelli politici (quello regionale, quello comunale) sono in competizione con quello statale, e si misurano sui risultati.
Sui referendum che contano, la gente si muove e vota. Per esempio su un tema come il federalismo la gente ha detto la sua, e un tormentone rimasto in scena dieci anni grazie al genio politico di un capopopolo come Bossi, è completamente uscito dall’agenda politica in un paio di giorni.

La sconfitta vera dei terroristi è questa: il loro essere fuori tempo massimo, vecchi, e – come tutti i vecchi che cercano di sopravvivere alla propria stessa necessità e rilevanza – irrimediabilmente patetici.


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