Per un pugno di euro

Sono fuori sede, in missione, per un corso di aggiornamento. Vado a pranzo con tutti i colleghi. Beh, non è il massimo del divertimento, ma ogni tanto tocca farlo, per scambiare due chiacchiere con gente dell’ambiente e non passare da asociale. Al ristorante, un anziano collega prende l’iniziativa di raccogliere i soldi per tutti, 20€ a capoccia. Poi l’oste passa a distribuire le ricevute che metteremo nel rimborso spese. Sono da 30€ ciascuna… Sapevo che queste cose avvengono, ma non mi era ma capitato di esserne testimone. Mi arrabbio seriamente. Unico, tra trenta persone mi rifiuto di starci. A bassa voce, con una faccia torva, restituisco la ricevuta, chiedo che sia corretta e di pagare il dovuto. Intorno, il gelo.

Quello che più mi ha fatto arrabbiare è la disinvoltura della faccenda, il fatto che un emerito sconosciuto mi renda complice delle sue malversazioni. Una naturalezza che mi fa supporre che queste pratiche siano assai frequenti.
Dovevo farmi i fatti miei? Qualcuno dirà che sono uno che vede le cose in bianco e nero. Può darsi: in Italia, uno che ha dei principi è disprezzato come “moralista”. Alla base di una secolare omertà è l’idea che ognuno si deve fare i fatti propri, voltarsi dall’altra parte.
Io non credo di essere un incorruttibile Robespierre, solo uno che non vuole vendersi la dignità per quattro soldi.

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