Saranno Dirigenti??

Un rapido sguardo ai vari forum che su Internet mettono in comunicazione i candidati al prossimo quarto Corso-Concorso alla Scuola Superiore di Pubblica Amministrazione dà un’idea un po' desolante degli aspiranti Dirigenti della PA e delle loro aspettative. Quello che non piace, che non può piacere, è l’assenza di grinta e di voglia di cambiare, che anima tanti partecipanti a quei forum, i quali sembrano vedere, nella dirigenza, solo un posto statale sicuro e ben retribuito. Speriamo che le prove di accesso operino un’adeguata selezione, basata non solo sulla preparazione individuale, ma a partire dalle motivazioni di fondo.

Un giorno scriveremo la storia di quel secondo concorso che fece diventare Dirigenti dello Stato me e un centinaio di giovani, molti dei quali esterni alla Pubblica Amministrazione.
La SSPA non è davvero l’ENA, come le si rimprovera spesso, e potrei fare una lunga lista dei suoi molteplici difetti. Resta però il fatto che essa ha offerto - a una leva di giovani fortemente motivati - un’occasione assolutamente unica di salire immediatamente al vertice, di cambiare qualcosa e fare bene per il paese.

Certo, nessuno ha fatto miracoli: il nostro ingresso in Pubblica Amministrazione non ha costituito la palingenesi della burocrazia. Ma dopo cinque anni di esperienza professionale posso affermare con orgoglio che il pezzettino di Stato che è affidato alle mie cure funziona, tratta correttamente i cittadini, impiega bene le (sempre più scarse) risorse assegnate. Credo
anche di essermi guadagnato la stima delle comunità nelle quali ho operato, il rispetto, e persino l’affetto, di quanti mi hanno conosciuto e hanno lavorato con me – tutte cose che non hanno prezzo. E lo stesso vale per i miei compagni di corso.

Il lavoro pubblico sembrerebbe oggi non avere più nessun appeal né prestigio: sparare sulla ‘burocrazia’ è un esercizio alla portata di tutti. Questo Paese è afflitto da un inguaribile manicheismo, si dipinge diviso in due, come una lavagna, da una parte i buoni, dall’altra i cattivi: da una parte il Privato, dall’altra lo Stato. Il primo per definizione efficiente, orientato al profitto ed al mercato, animato dalla customer satisfaction… il secondo un moloch immobile e stupido, dedito solo a distruggere le risorse e angariare la parte produttiva del paese. Lì gli onesti, i bravi, gli efficienti, gli innocenti; dall’altra parte tutti i falliti, gli incapaci, i corrotti, i parassiti. Insomma, la solita favoletta dell’Italia che va verso l’Europa contro quella che sprofonda nel Mediterraneo, del Nord contro il Sud, di “Roma ladrona” contro “Milano - che - lavora - e - che - produce” etc. etc.
Che idiozia! Come se due gambe stessero a discutere quale delle due è la più importante…

Eppure, la Pubblica Amministrazione ha unificato l’Italia, e l’ha modernizzata. Sbadigliavo indecorosamente, alla SSPA, durante i corsi di Storia dell’Amministrazione Italiana del prof. Melis: oggi - a ripensare a quell’epopea di medici condotti, di maestri elementari, di ufficiali di presidio, di funzionari prefettizi, di ingegneri del genio civile, di industriali pubblici - me ne sento l’erede, e sono pieno di orgoglio.

Orgoglio: è questo che bisogna recuperare. Coscienza del proprio posto nella società, della propria missione. A coloro che pensano che la panacea di tutti i mali è ridurre il ruolo dello Stato, dovremmo saper ricordare che ogni momento della vita quotidiana ci mette in contatto con lo Stato, che gesti semplici e scontati come aprire il rubinetto dell’acqua, accendere la luce elettrica, sono stati resi possibili dal lavoro lungimirante e complesso di generazioni di pubblici impiegati. Il fatto che il lavoro statale non abbia un prodotto misurabile e visibile porta molti a concludere con faciloneria che tale prodotto semplicemente non esista, e che lo Stato sia solo un inutile spreco. Basterebbe accendere la televisione: l’Iraq di oggi offre un eloquente esempio di come si riduce un paese senza una struttura statale.

Non mi piace, perciò, che tanti vedano nella dirigenza solo uno scatto stipendiale. Entrare a far parte della “classe dirigente” del Paese significa assumersi responsabilità particolari, verso tutta la collettività. È un ruolo da impersonare con consapevolezza, e con entusiasmo. Spero che quei ragazzi che faranno il concorso lo capiscano. In bocca al lupo.

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