Ma il Corriere dice no...

Pubblicato sulla Cronaca di Roma del Corriere:
Cara Maria Latella, per molti anni gli abitanti del Nomentano hanno lottato per salvare dalla speculazione edilizia un terreno adiacente a Villa Torlonia,dietro la Casina delle Civette.
Ora il comune ha deciso di acquistare quel terreno e destinarlo all’edificazione del Museo della Shoah. Il fine è certamente più nobile, ma la sostanza non cambia: il risultato sarà pur sempre la cementificazione di un’area verde a ridosso di una villa storica, con importanti preesistenze archeologiche, in un quartiere per di più già congestionato dal troppo terziario. Il Museo della Shoah si deve certamente fare, ma in luoghi che abbiano maggiore attinenza al dramma dell’Olocausto: per esempio al Ghetto, oppure alla Stazione Tiburtina, da dove partirono i vagoni per i campi di concentramento. Villa Torlonia non ha bisogno di altro cemento.
Dario Q


Le propongo un’impresa difficile, gentile signor Q [sic!]: provi a ragionare intorno all’iniziativa in questione dimenticando che lei vive nel quartiere. Analizziamo, o proviamo a farlo, i pro e i contro. Cominciando dal noto principio: «Non nel mio giardino». Giusto realizzare il museo della Shoah, lei dice, ma da un’altra parte, nel ghetto, alla Tiburtina... Nel Ghetto, per quanto ne so, non esistono spazi adeguati e comunque sarebbe sbagliato voler a tutti i costi inserire quel museo in quel contesto. La Shoah non riguarda solo la comunità ebraica, è storia collettiva. A Berlino occupa un edificio di straordinario impatto emotivo ed è uno di quei musei la cui visita rappresenta, in sè, un evento memorabile. Serve, dunque, un’area adeguata. Non mi pare che la stazione Tiburtina corrisponda alle esigenze. Perchè no, allora, il terreno dietro Villa Torlonia? Perchè i residenti si oppongono alla cementificazione? Al vostro posto, mi sentirei più tranquilla se in loco verrà realizzato, e al più presto, un museo: si spera che saprà attenersi a criteri di compatibilità architettonica e ambientale, preservando il più possibile l’area verde. Le aree edificabili sono molto più che appetite, c’è in giro una certa voracità e non vorrei che, lasciando cadere la proposta del Comune, tra qualche tempo in luogo del museo spunti qualche lucente, e lussuosissimo, condominio.mlatella@***
Corriere della Sera, Cronaca di Roma, 25 luglio 2005
Seguito corrispondenza via e-mail
Da: Dario 
Inviato: lunedì 25 luglio 2005 16.11A: Latella Maria; Cronaca Locale Roma
Oggetto: Villa Torlonia


Gentile signora Latella
La ringrazio di aver pubblicato, e con così grande evidenza la mia lettera.
Sapendo che una lettera a un giornale deve essere breve non ho aggiunto molti particolari, ma lei avrebbe ben potuto documentarsi.

Quella del lotto di terreno vicino a Villa Torlonia, infatti, è una classica storia di speculazione edilizia anni 60, degna di un film di Alberto Sordi, e fu seguita passo passo proprio dal Corriere della Sera, all’epoca in cui vi scrivevano Antonio Cederna e Francesco Perego.
L’ultimo articolo è dell’anno scorso, e io stesso fornii del materiale documentario al sig. Roberto della Rovere.

Negli anni 60 il vicino convento di Monache vende il suo orto a una società immobiliare, che prepara piani di sviluppo edilizio. I residenti, e il Comitato di Quartiere fanno battaglie, petizioni, ricorsi, bloccando la cementificazione finché l’anno scorso il Consiglio di Stato, del tutto inaspettatamente, e invertendo una precedente giurisprudenza, dà ragione alla proprietà immobiliare, che comincia lestamente a gettare le fondamenta di un edificio per uffici e residenze.
Ciò proprio dietro la Casina delle Civette, e in un terreno dove sono presenti numerosi reperti archeologici, che alcuni operai affermano essere stati rinvenuti e sollecitamente distrutti. C’è il tracciato della antica Via Nomentana e ci sono anche le Catacombe di Villa Torlonia a pochi passi.

Il Comune decide di fermare i lavori e di offrire alla proprietà immobiliare un altro terreno edificabile in permuta. Invece di destinare l’area a verde pubblico e a zona di rispetto monumentale, inopinatamente il Comune decide di edificarvi il Museo della Shoah.

Riferendosi a noi residenti, Lei ha usato un’espressione inglese: “Anywhere but not in my backyard”. Questa espressione stigmatizza l’atteggiamento di chi si disinteressa completamente dei problemi del mondo, purchè siano esclusi dal limitato orizzonte della sua visuale. Dunque un atteggiamento gretto, menefreghista ed antisociale.

Mi pare esattamente il contrario di quello che noi residenti abbiamo fatto in tutti questi anni, cara Signora. Abbiamo difeso – e continueremo a difendere – Villa Torlonia per tutti, non solo per noi stessi. Il “mio giardino”, in questo caso, non è affatto mio, ma è un Parco pubblico di 14 ettari a servizio di tutta la città.
Se viene edificato per un uso pubblico anziché per uno privato, cosa cambia all’atto pratico? Sempre cemento nel verde è…
E poi basta con questa urbanistica dell’estemporaneo, fatta senza pianificazione né discussione democratica, e senza valutazioni dell’impatto di un’opera. Qui c’è già così tanto traffico, perché la zona è stata trasformata selvaggiamente ad uso uffici. Non oso pensare cosa diventerebbe con torme di scolaresche e di visitatori.

Non spettava a noi indicare soluzioni alternative, ma se lo abbiamo fatto era proprio per evitare l’accusa di non essere interessati all’edificazione del Museo che è comunque opportuna, o peggio perché sarebbe facile scambiare la contrarietà alla cementificazione di Villa Torlonia con qualche equivoca manifestazione antisemita. In parole povere, non siamo contrari al Museo della Shoah, siamo contrari alla cementificazione di Villa Torlonia.

Pertanto abbiamo prospettato soluzioni alternative. Vicino al Ghetto ci sono i depositi dell’Opera al Circo Massimo, che durante la candidatura olimpica si pensava di destinare ad un Museo dello Sport. Se poteva andarci il Museo dello Sport può andarci il Museo dell’Olocausto.
Alla Stazione Tiburtina invece c’è molto spazio libero, ed è un’area che sarà sottoposta nei prossimi anni a un radicale ridisegno architettonico ed urbanistico, ottimamente collegata anche con la metropolitana.

Queste due ipotesi non vanno bene? Può darsi, non sono un’urbanista (ma nemmeno Lei, mi risulta): questo non vuol dire che l’unica alternativa rimasta sia Villa Torlonia.

Come proprio Lei ha ricordato, l’analogo Museo di Berlino, opera dell’Architetto Liebeskind è un monumento di grande impatto emotivo e visivo.
Lei conosce invece l’area di cui parliamo? Il fronte stradale è di appena due metri, è stretta dagli edifici, su una via abbastanza stretta e alberata. Il Museo della Shoah sarebbe praticamente invisibile se non da Villa Torlonia, dove peraltro rovinerebbe del tutto la prospettiva della Casina delle Civette. Insomma vogliamo creare un monumento per nasconderlo o peggio deturparne un altro?

Serve un’area adeguata”, lo ha scritto proprio lei. Giustissimo. Venga di persona a vedere se quella è un’area adeguata, poi mi saprà dire.

Noi residenti continueremo a combattere per la salvaguardia di Villa Torlonia. Peccato non avere più al nostro fianco, dopo tanti anni, il Corriere della Sera.
Da: Latella Maria [mailto:mlatella@***] Inviato: lunedì 25 luglio 2005 16.42A: me
Oggetto: R: Villa Torlonia

Gentile dottore, la mia è una risposta personale e non implica che in futuro il Corriere continui [sic!] a dare spazio alle vostre posizioni, così come lei stesso riconosce è sempre accaduto. Mi permetterà di esporre le mie opinioni che, come spesso capita, non sempre coincidono con quelle di chi scrive. Ma l’importante è confrontarci, non è vero? Un caro saluto, maria latella

PS: l'importante è confrontarsi, certo, ma chissà perchè sono sempre i giornalisti ad avere l'ultima parola...

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