Politicamente scorrettissimo




In copertina campeggia un rasoio. Non è per la barba. Il tema di questo libro è chiaramente la castrazione. L’ho acquistato, dopo avergli dato una scorsa veloce, solo perché si trattava evidentemente di un testo controcorrente: Dio sa se ne abbiamo bisogno in questi tempi di ‘pensiero unico’. Solo dopo ho scoperto di avere tra le mani quello che in Francia, prima delle presidenziali, è stato un vero caso letterario. “L’uomo maschio” (Piemme, pagg. 143, euro 11,50), di Eric Zemmour, francese, giornalista e polemista de Le Figaro, è duro e cattivo sin dalle prime righe, e va giù come un cazzotto, contro tutto ciò che è considerato politicamente corretto, dicendo quello che è oggi assolutamente vietato non solo dire, ma anche pensare.

Dove sono finiti i maschi di una volta? Se lo chiedono in tanti ed in tante, da ultimo la simpatica Berarda del Vecchio nel suo gustoso “Sdraiami”. Quelli della mia età hanno fatto in tempo a vedere l’ultima generazione di uomini che si sono confrontati con la Caccia e con la Guerra, vale a dire con un archetipo maschile che resisteva dalla notte dei tempi, e possono misurare la differenza. L’uomo di oggi è discretamente in crisi. Quanto al “maschio” è oramai una parola demodé, come “virilità”, un concetto confinato alla sola sfera sessuale: ed anche lì se la passa male. Perché?


In francese il titolo è “Le premier sexe
in voluto pendant con quel “Le deuxieme sexe” (1949) nel quale Simone de Beauvoir, scriveva: «Ebbi una rivelazione: questo mondo era maschile, la mia infanzia era stata nutrita da miti forgiati dagli uomini». Sessant’anni dopo, secondo Zemmour, la società è invece plasmata sui valori femminili. Nella sua versione più moderna, il femminismo ha preteso di cancellare le differenze di genere, di omologare l’uomo alla donna: in altre parole di evirarlo. «È un nuovo femminismo. Il femminismo degli anni ’70 voleva che le donne vivessero come uomini, pensassero, lavorassero come uomini. Il femminismo d’oggi esige invece che gli uomini vivano come donne. La donna non è più un sesso ma un ideale». Trionfano, in famiglia, ma anche in politica, i valori “femminilmente corretti”: tolleranza piuttosto che conflitto, consenso piuttosto che autorità, precauzione piuttosto che rischio, intuizione piuttosto che ragione, ascolto piuttosto che impulsività, coppia piuttosto che individuo, amore piuttosto che desiderio. Il buonismo consociativo e piacione. L’uomo, insomma, deve omologarsi, cioè diventare una donna.

Ma è, quella del trionfante femminismo, vera gloria? Qui il libro è ancora più coraggiosamente controcorrente. Zemmour propone una sua originale chiave di lettura del XX secolo: non il tempo dell’emancipazione e delle conquiste della donna - piuttosto un’epoca di progressiva rinuncia ed abdicazione dell’uomo dal suo ruolo, a partire dal macello della prima guerra mondiale.
Per le donne, una vittoria di Pirro: esse vanno ad occupare i posti che gli uomini hanno lasciato liberi, nelle professioni, nell’università, nella politica, luoghi disertati dal vero potere. Né trovano nelle relazioni con l’altro sesso sufficienti motivi per gioire.

Sognano ancora il principe azzurro, forse. Ma il Cavaliere pazzo, d’amore e di passione, che va lancia in resta contro i pericoli del mondo alla conquista della sua bella, alla fine del viaggio si trova davanti una signora cinica e disincantata che ha nel lavoro e nella carriera il suo vero baricentro. Partito alla ricerca della sua metà, incontra la metà sbagliata, ciò che credeva di essersi lasciato dietro per sempre: insomma, un altro uomo. La sua è una Principessa “col” pisello. Per la quale la maternità - se mai ci arriva, agli ultimi rintocchi dell’orologio biologico - è la ciliegina sulla torta di una vita spesa perseguendo il successo professionale. Oppure la soluzione di ripiego in caso di insuccesso. In ogni caso un progetto strumentale e secondario.

L’uomo, re spodestato, persi i privilegi, si disfa allora anche delle sue responsabilità. Si dà alla fuga. Ci pensa magari la legge a richiamarlo all’ordine: a differenza della donna, non può rinunciare a una paternità indesiderata. Di converso non può opporsi se la sua compagna decide di abortire. In nessun caso ha voce in capitolo sul frutto del suo seme. Castrato.

L'illuminante intuizione di Zemmour è che il femminismo è l’ultima e più raffinata forma di totalitarismo, perché, come tutti i totalitarismi, si propone di cambiare l’uomo sin nell’intimo, omologando e livellando le differenze di genere.
E com’è un uomo, nell’intimo? Il libro parla (con una sincerità che gli uomini raramente si concedono) delle paure ancestrali del maschio, in primo luogo dell’ansia da prestazione, della paura della castrazione. Ansie che vanno placate, rassicurate, affinché egli possa riuscire nell’atto sessuale. Ma che invece, la nostra società disprezza e sottovaluta, come un retaggio culturale di un'epoca barbara: quando invece hanno una natura biologica. Nel bene e nel male, la mascolinità risiede al crocevia tra debolezza ed aggressività: i riti di iniziazione, la guida del padre nella società patriarcale, servivano proprio a venire a capo di questa duplicità, a farla emergere ed a codificarla. Oggi invece è semplicemente ignorata e negata: gli uomini apprendono, sotto la pressione della società, a respingere i loro istinti più profondi, ed a negare con vergogna le loro paure ancestrali. Si è inceppato così il fragile meccanismo del desiderio maschile, malamente sostenuto dalla diffusione di pornografia e viagra.
Destabilizzato e privato della sua identità e dei suoi punti di riferimento, femminilizzato, l’uomo d’oggi sembrerebbe in teoria
incarnare l’ideale femminile. In pratica delude. Il divorzio si diffonde, proprio ad iniziativa della donna: evirato, l’uomo non funziona più, non serve più a niente, il giocattolo si è rotto. Si divorzia paradossalmente in nome della "coppia", di un ideale di coppia, di un modello irraggiungibile di fronte al quale la realtà non può che essere deludente: è quello che l’autore chiama “liberazione del bovarismo”.

Suggerisce Zemmour che la crisi del maschio è una chiave di lettura della crisi dell’Occidente, della sua stagnazione creativa, del progressivo divario ed incomprensione tra Europa ed America: non scriveva già Robert Kagan che gli “Americani vengono da Marte e gli Europei da Venere”? Ma la psiche virile è un palinsesto (felice metafora, questa, dell’autore), che il verbo del politicamente corretto non è riuscito a cancellare del tutto. Forse conclude, la riscossa verrà proprio dall’America, ed approderà in Europa con qualche anno di ritardo. Peraltro “la più grande resistenza verrà proprio dall’uomo, ben felice di essersi liberato dal fardello che aveva tra le gambe”

Come si vede, materia per riflettere. Certo, un libro con profondi riferimenti alla realtà francese, vale a dire a un paese che vive sempre nel mito del padre-monarca, e che ne sente dolorosamente l’assenza ogni volta che questo non è all’altezza.

In Italia il discorso è già diverso. A differenza della Francia l’Italia non è un paese maschilista...

Sono ben cosciente che tale affermazione desterà nel lettore incredulità se non ilarità. Ma è così. L’Italia è un paese matriarcale, e lo è sempre stato. La grande madre mediterranea è il centro della famiglia italiana, non struttura fondante e solida di affetti e sentimenti, ma ragnatela vischiosa e complice che alimenta le dipendenze, scoraggia l'autonomia e castra il maschio. Il classico conflitto nuora-suocera, da noi, non viene combattuto nel nome dell'autonomia della coppia dal legame incestuoso con la famiglia d'origine. Esso è invece lotta per il controllo dell'uomo tra la matriarca e l'aspirante tale.
Non a caso in Italia ha conosciuto una durevole fortuna la soap opera “Beautiful”, incentrata proprio sul conflitto tra una madre e una fidanzata per il controllo di un uomo subordinato e bamboccio.
È in famiglia, dalla madre, che si apprendono gli stereotipi di genere: la diffidenza verso le donne viene abilmente coltivata dalla madre nel "suo" bambino, a scopo preventivo.

Il simbolo del maschio italiano è il Don Giovanni in Sicilia di Brancati, un eterno fanciullo che vive sotto tutela delle sue donne. E, quanto al potere, la fuga del Re l’8 settembre ben simboleggia la fuga dei padri, e delle classi dirigenti, dalle loro responsabilità, una fuga che dura tuttora: come ben sanno i lettori del mio blog, la mia teoria è che siamo in 8 settembre permanente.
Quello che i francesi oggi scoprono addolorati, in Italia c'è sempre stato. In Francia la rinascita del maschio è forse possibile e vicina, perché sono ancora disponibili modelli culturali strutturanti.
Per un italiano, in assenza di punti di riferimento, con padri irresponsabili ed assenteisti e leaders inetti, imparare a diventare un uomo è molto più difficile. Proprio come l'8 settembre, bisogna arrangiarsi da soli.

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Un blog sulla Misandria

Commenti

  1. Bravo Quintavalle, mi riconosco in quanto scrive. La virilità è un balance act assai arduo, ma non per questo possiamo esimercene, né nasconderlo ai nostri figli.

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  2. Politicamente scorretto ed interessante, perchè scritto da una donna, questo articolo sul Sole24Ore:

    "18 luglio 2010
    Salvate le soldatesse dagli anni 70
    di Serena Danna

    Ogni anno a Londra si trasferiscono decine di persone per un'unica ragione: la capitale inglese è la sola al mondo che permette di vivere ancora nei "Fabulous Sixties". Dai piccoli club di Islington al mercato di Camden, fino ai bar del l'East End solo a Londra è davvero possibile sentire atmosfera e spirito di quei tempi.
    In Italia accade lo stesso con gli anni Settanta, solo che al posto di club e negozi vintage, la saudade delle manifestazioni in piazza e della coppia senza paura e senza orgasmi Sartre-de Beauvoir attraversa università e case editrici.

    A differenza degli appassionati dei Sixties, i nostalgici degli anni Settanta sono tantissimi e, tra i fan più accaniti, spiccano le nuove femministe. Non importa che le donne oggi siano più numerose degli uomini nelle università, girino il mondo con disinvoltura, occupino anche posizioni importanti al lavoro, e possano sentirsi intelligenti pure senza peli in bella vista. Tanto meno che le sfide della globalizzazione e della crisi economica richiedano nuovi strumenti per affrontarle: le manifestazioni in piazza o le photogallery di "donne offese" su Repubblica.it hanno forse modificato l'atteggiamento del presidente Berlusconi nei confronti dell'altro sesso o convinto i Ceo delle aziende ad assumere più donne? Comunque negli anni Settanta le donne stavano meglio. La filosofa Michela Marzano, in esilio volontario in Francia, intellettuale vezzeggiata dal mitico magazine «Nouvel Observateur» e columnist di «Repubblica» anche dal Mondiale, rimpiange nel suo ultimo libro Sii bella e stai zitta (Mondadori) la libertà di sua madre: contemporaneamente mamma e insegnante al l'avanguardia. Mentre Caterina Soffici, per dieci anni responsabile delle pagine di cultura del «Giornale» di Montanelli e Feltri, si domanda nel suo Ma le donne no (Feltrinelli) che fine abbiano fatto gli ideali di indipendenza degli anni Settanta.

    Il premio "nostalgia canaglia" va però a Lorella Zanardo, autrice di Il corpo delle donne, un documentario diventato molto popolare, grazie al tam tam su Internet e a poche ma buone presenze in tv. Il video è da poco anche un libro (edito da Feltrinelli), in cui ogni capitolo inizia con una citazione di Rosa Luxemburg, Pier Paolo Pasolini, Karl Popper e Giovanni Sartori (in realtà c'è anche una canzone degli Afterhours: a questo proposito inviteremmo l'autrice a una riflessione sulla rappresentazione della donna nei testi di Manuel Agnelli). Per Zanardo, una bella e cosmopolita ex manager, in televisione «i volti e i corpi delle donne reali sono stati occultati, al loro posto la proposizione ossessiva, volgare e manipolata di bocche, cosce, seni; una rimozione e sostituzione con maschere e altri materiali». La "questione femminile" in Italia si limita così alla rappresentazione televisiva della donna come «mero oggetto di soddisfazione sessuale». E lo scandalo è che le donne non si ribellano, mentre «nel '68 bastava scendere in piazza e unirsi a uno dei tanti cortei che passavano». (segue...)

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  3. (...prosegue)

    «Quand'è stato – si chiede – che si è passati dalla lotta armata, dal clima di tensione, dalla protesta, dalle manifestazioni oceaniche al disimpegno politico e all'interesse per il mercato come valore portante?». Zanardo dice che dalla tv sono scomparse le donne reali. E forse ha ragione. Il punto è che sembrano scomparse anche nel suo mondo, sostituite da fantasmi di 40 anni fa. Tra femministe e veline, esistono migliaia di altre che lavorano e che resistono alla fatica come ai luoghi comuni. Che hanno paura quando leggono che in meno di un mese ci sono stati nove omicidi a carico di maschi che odiano l'amore. E che sanno decidere quando farsi una risata davanti a un'attrice così rifatta da non riuscire a parlare e quando indignarsi se il premier consiglia a una precaria di fidanzarsi con un miliardario. Siamo donne, oltre le gambe e lo slogan c'è di più.

    serena.danna@ilsole24ore.com

    18 luglio 2010"

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