Breve, rozza e brutale recensione della Anna Karenina di Tolstoj

ANNA KARENINA:

"Tutte le famiglie felici sono simili le une alle altre; ogni famiglia infelice è infelice a modo suo".

Finita dopo tre mesi la lettura di Anna Karenina, un romanzo così monumentale che se vi cade sui piedi vi fa male, non posso dire di esserne stato molto colpito. Un mattone lunghissimo, prolisso all'inverosimile, sulle vicende di un'oziosa nobiltà russa nel XIX secolo. La narrativa russa si assomiglia tutta, lunga lunga lunga, sarà colpa dell'inverno, avranno troppo tempo per stare in casa a scrivere, codesti poveri scrittori russi. Avendo conosciuto un bel po' di ragazze russe, direi che forse alternative piacevoli alla letteratura ci sono anche d'inverno, ma vuoi mettere il piacere di castigare generazioni di lettori? Così uno legge un robo del genere e alla fine non può che dare ragione a Borges, che il romanzo non è altro che un racconto diluito. "Estendere in 500 pagine ciò che si può dire in 15", mi pare dica proprio così.

Insomma, è la storia di una principessi russa (in questo romanzo sono tutti principi, con la sola lodevole eccezione del conte Vronskij: data la sovrabbondanza di principi nella società russa, non c'è da sorprendersi se i bolscevichi fossero un po' incazzati) che dopo aver sostenuto con troppa partecipazione la parte della torre d'avorio, scopre il sesso e sbrocca, abbandonando il marito, che da par suo, anzichè godersela, si fa irretire da ciarlatani pseudoreligiosi. E poi uno si stupisce di avere le corna. Dopo aver molto viaggiato, la fedifraga si crea tutta una serie di gelosie nella sua mente, diventa acida e sospettosa, e alla fine si suicida buttandosi sotto un treno, mentre l'amante (il succitato Vronskij) che le ha sacrificato una brillante carriera militare, anzichè respirare e ricominciare a vivere va a farsi nobilmente ammazzare dai turchi. In treno.

Nel frattempo il nobile Levin, dopo aver vissuto una nobile vita di lavoro in campagna ed essersi ammazzato di seghe (non c'è nel libro, ma bisogna leggere tra le righe), decide di prender moglie e si propone a Kitty (principessa pure questa, che te lo dico affà...) . Questa è innamorata di Vronskij che però le dà buca per Anna Karenina. Lei cade in deliquio e va a fare le cure termali in Germania, esattamente il posto e l'attività divertente che ci vogliono per una giovinetta in crisi (lo Scandinavian Bar di Mikonos era di là da venire). Levin intanto va a leccarsi le ferite seppellendosi in campagna circondato da fedeli e festosi servi della gleba (così si crede... addavenì Baffone...).

Uno che dicesse tra sè e sè "chiusa una porta si apre un portone" o "il mare è pieno di pesci" - insomma tutte le cazzate che ci raccontiamo noi maschi quando siamo stati scaricati e ci rode - e si desse da fare con altre ragazze non potrebbe, è ovvio, stare in un romanzo di Tolstoj. Così, fedele come un Labrador, Levin attende e ritrova Kitty, le rifà la proposta (in modo contorto, da par suo) e finalmente lei cala le arie. Smette di fare la stronza perchè a 21 anni teme già che non la sposi più nessuno, e accetta la mano di Levin, per ritirarsi con lui in campagna. Il bambino però lo fa a Mosca perchè è plus chic.

Poi tornano in campagna dove sono allietati dalla visita di parenti parassiti e di intellettuali astratti par loro. E così un bel giorno Sergei Ivanovich Koznyshev si addentra nella foresta insieme alla signorina Varegnka, e tutti sono contenti attendendo la proposta, perché è ovvio, il caso che lui le possa zompare addosso con laidi propositi non è nemmeno contemplato. È Tolstoj, questo, che diamine! Qui si tengono le mani a posto per default (salvo Vronskij, si capisce). Insomma, lui sta lì a guardarsi lei come un gatto il filetto, e a considerarne le sublimi virtù muliebri che la rendono in massimo grado eligibile come sposa e madre, un pippone mentale che non finisce più, e intanto lei aspetta pudibonda e vogliosa che l'ebete si decida. Niente, a tutti e due cedono i nervi: lei si mette a parlare di funghi, lui perde la concentrazione e la segue sulla micologia, dicendole che un “fungo leccino ricorda un uomo che non si è rasato da due giorni”. Clamoroso al Cibali! A questo punto persino in un romanzo di Tolstoj una donna si fa due conti e preferisce restare zitella a vita pur di non sposarsi un pirla.

Levin intanto ponza, e a furia di sante letture e di colti ragionamenti, si affaccia alla finestra e scopre la religione. Che, bisogna ammetterlo, dopo trenta pagine passate a parlare della mietitura del fieno nella campagna russa del XIX secolo, è pur sempre un bel conforto...


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