La falsa democrazia del 'diamoci del Tu'
Si racconta che a un militante comunista che lo salutò dicendogli: “Compagno, siamo molto felici di rivederti”, Palmiro Togliatti, di ritorno dalla Russia, abbia risposto: “Compagno, diamoci pure del Lei”. Aneddoto confortante, perché almeno smentisce che pretendere il Lei abbia qualcosa di aristocratico
Io mi do del Tu con gli amici, i parenti, i colleghi. Do e mi faccio dare del Lei da tutti gli altri. Io detesto le persone che senza conoscermi mi danno del Tu. Provo al riguardo una autentica forma di ribrezzo, come di una invasione non autorizzata nella mia sfera privata. Se qualcuno mi da del Tu, io continuo imperterrito con il Lei, non esitando a fargli notare la sua scorrettezza. Dare del Tu agli estranei, alle persone che si incontrano per la prima volta, agli anziani, ai superiori, non è manifestazione di confidenzialità, ma di maleducazione.
Pensavo che la progressiva scomparsa del Lei fosse una caratteristica solo di Roma, di questa autentica capitale della cafonaggine, dove, come diceva Celentano nella battuta di un suo film (Innamorato Pazzo), “dare dello stronzo a qualcuno è un complimento”. Persino Dante notò che i romani davano del Tu, quindi è un vizio antico. In realtà, ormai il Lei è in recessione in tutta Italia. Ed anche all’estero: in Danimarca ormai non si usa più.
Dicono che è un fenomeno di imitazione dell’Inglese. Sciocchezze: in Inglese, come del resto in Francese e in Russo, ci si da del Voi. “You are” = Voi siete. Anzi, in Inglese, è il Tu ad essere sparito. “Thou” è un arcaismo, che si trova solo nei testi antichi. E chi parla bene Inglese sa che altro è il modo in cui ci si rivolge alla Regina, altro alla portinaia. Quanto alla Francia, vi si usa ancor oggi una cerimoniosa cortesia nelle relazioni interpersonali che non manca mai di deliziarmi. “Se tutoyer” è permesso solo agli intimi.
Quelli che amano dare del Tu credono in tal modo di abbattere barriere e gerarchie. Il Tu sarebbe democratico, e farsi dare del Lei una manifestazione di arroganza. Ebbene, la democrazia non è affatto l’assenza di differenze e gerarchie. Abbiamo tutti gli stessi diritti, ma questo non significa che siamo tutti uguali. Posso dare del Tu a un mio superiore, o a un premio Nobel, ed illudermi di essere un suo pari. In realtà ho fatto solo la figura del maleducato. Solo chi conosce e sa stare al suo posto, sale nella scala sociale e professionale. Chi da del Tu in modo impertinente ignora le gerarchie, non le supera. E alla fine rimane al palo.
E poi non è affatto vero che il Tu sia democratico. Spesso è sintomo di una particolare forma di condiscendenza, come in quelli che si rivolgono con il Tu o con il Lei, a seconda del vestito, dell’età o della razza dell’interlocutore. Ecco, questi li sopporto meno di tutti: quelli che danno del Lei alle persone benvestite, agli anziani e ai bianchi, e del Tu agli immigrati, e a chiunque vesta casual ed abbia un’aria giovanile.
Sì, perché il Tu è soprattutto una manifestazione dell’imperante giovanilismo. Ci diamo del Tu come a scuola, perché in questo paese di mammoni ed eterni ragazzini (una volta ho sentito alla televisione uno speaker dire: “un ragazzo di trentanove anni”) non ci rassegniamo all’idea di essere diventati grandi. Così c’è gente che pretende, esige, il Tu, perché se gli dai del Lei, si sente vecchia. C’è da chiedersi, a che età si diventa adulti in questo paese?
Soprattutto sul lavoro il Lei è manifestazione di professionalità. È bello che ci siano delle distanze, perché solo così è possibile accorciarle. Mi piace proporre a un mio collaboratore, dopo qualche anno di lavoro insieme, di “darci del Tu”: è un segno di stima, di fiducia, di confidenza, di apprezzamento. Come si fa a ridurre le distanze se sono state abolite dal primo giorno?
Continuerò dunque a dare e a farmi dare del Lei. E pazienza se qualcuno penserà che sono arrogante: non me ne importa niente. Il Lei ha questo ulteriore vantaggio: è una manifestazione di indipendenza di giudizio. Eh, mica si può piacere a tutti... :-)
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Sul tema: "Pronomi del passato", di Umberto Eco
Quando lavoravo nel Regno Unito, il ministro si rivolgeva a me come a tutti gli altri colleghi con "you" e con il nome di battesimo. La stessa mancanza di formalismo caratterizzava il mio rapporto con tutti gli alti dirigenti. Dottore e Mister erano praticamente banditi. Eppure le distanza si mantenevano in automatico. Ma si trattava di civil servants della Corona britannica. In Italia siamo solo personaggi in cerca di titoli. Degli sboroni insomma
RispondiEliminaGià, però era il Ministro. E l’iniziativa di darsi del tu partiva da lui. Cosa che lungi dallo smentire le gerarchie, le confermava. Se il mio Ministro mi desse del Tu, me ne sentirei onorato. Però gli darei ugualmente del Lei, salvo diverse istruzioni. Se a darmi del tu è la commessa di un negozio di periferia, la trovo solo maleducata.
RispondiEliminaE a proposito di “personaggi in cerca di titoli” (Signore e Lei non sono titoli, ma solo un modo rispettoso di rivolgersi agli estranei), non ho mai avuto l’impressione che i Britannici siano così informali. Ad esempio, il nome completo della signora Thatcher è “The Right Honourable Margaret Thatcher, The Baroness Thatcher, LG, OM, PC, FRS”. Dove quelle strane sigle indicano ordini cavallereschi, né più né meno che i nostri “Cav.” “Uff.” etc. Per non parlare del titolo nobiliare.
Anch’io, che ho molto viaggiato, penso che dall’estero abbiamo tanto da imparare.
A patto di non assumere l’atteggiamento spocchioso e provinciale di certi emigrés che, per aver annusato un po' l’aria di altri paesi, pensano che in Italia fa tutto schifo.
Quelli sì, sono i veri “sboroni”…
Corriere della Sera
RispondiEliminaIl Difensore del Popolo spagnolo: più rispetto nei confronti dei docenti
Il tramonto del «lei» a capi e prof
Per salvarlo appelli e ordinanze
Circolare ai dipendenti di un’azienda pubblica dell’Aquila: il «tu» è vietato
L’esempio viene dall’alto, si diceva un tempo. Ma oggi si può dire, a ragion veduta, l’esatto contrario: l’esempio viene dal basso. Per esempio dalle comunità virtuali diffuse in rete, dove i contatti sono programmaticamente informali e ci si può rivolgere con il «tu» a ogni interlocutore, senza farsi troppi problemi. E non è detto, pertanto, che la diffusione della seconda persona singolare al posto del più rispettoso «Lei» non derivi proprio da lì. Intanto, si segnalano due notizie al riguardo che fanno riflettere anche perché arrivano in contemporanea da luoghi e da contesti molto diversi. La prima viene dall’Aquila, dove Vittorio Sconci, presidente dell’Azienda farmaceutica municipalizzata, ha sentito l’esigenza di inviare un richiamo ai dipendenti per ricordare loro che «all’amministratore delegato si dà solo del lei». La seconda arriva dal Difensore del Popolo spagnolo, Enrique Múgica. Il quale quest’anno, nell’abituale bilancio della sua attività, uscendo forse dal suo consueto seminato, ha avvertito a futura (ma neanche troppo) memoria i suoi giovani concittadini che «dare del tu ai professori è una mancanza di rispetto».
Insomma, se si muovono le autorità amministrative e quelle politiche per porre un argine al «tu» indiscriminato, deve essere proprio vero che le forme di scortesia stanno prendendo il sopravvento a ogni latitudine. Poco importa se l’alternativa è da una parte il moderno (e italianissimo) «Lei» (che per iscritto perde abitualmente la maiuscola) e dall'altra il tradizionale «Usted», contrazione della locuzione astratta «Vuesta Merced» sul tipo delle nostre vecchie formule meridionali «Vossia» o «Vossignoria».
Dunque, siamo diventati tutti potenziali seconde persone singolari per chiunque. Il prof per l’allievo, il capufficio per il suo dipendente, il politico per il giornalista, il cliente attempato per la commessa, l’avventore per il barista. E viceversa. «L’abitudine di collezionare amici ovunque, in internet attraverso facebook o via chat, oppure in tv nelle rubriche della De Filippi, ha invaso la vita sociale». È una prima riflessione del filosofo Remo Bodei, che aggiunge: «Si sta diffondendo un’idea di cameratismo spontaneo che non è democrazia ma solo sciatteria e banalizzazione dei rapporti umani». L’altro fattore rilevante specie per le giovani generazioni è, secondo Bodei, l’effetto-emulazione nei riguardi dell’inglese, dove «you» è onnicomprensivo da secoli.
La prospettiva di uno storico della lingua come Francesco Sabatini, ex presidente dell’Accademia della Crusca, non è molto dissimile. Anche quando segnala che in Abruzzo, come in altre regioni meridionali, «l’uso del 'tu' senza intenzioni di confidenza discende da una tradizione contadina locale». Ma qui si parla d’altro: «In un sistema più ampio di relazioni, nell’amministrazione di Bergamo o di Bari, la regola del rispetto e della distanza richiede il 'Lei'». Senza arrivare alla deferenza fantozziana, è però difficile vedere dei vantaggi in una deregulation linguistica diffusa, secondo Sabatini: «Farsi dare del tu da un superiore è un errore, perché toglie ogni margine di difesa. Il 'Lei' reciproco garantisce una distanza nelle due direzioni. Va però instaurato un sistema uniforme: il 'tu' con il 'tu', il 'Lei' con il 'Lei'».
segue...
... segue da sopra...
RispondiEliminaDunque, il richiamo di un’amministrazione ai dipendenti per l’osservanza delle forme linguistiche è un segnale preoccupante? «La circolare sfiora il ridicolo, è il sintomo di un’insufficienza grave, perché l’insegnamento non dovrebbe essere impartito da una lettera interna ma dall’educazione prima familiare, poi scolastica e sociale». Sociale in senso lato. Ma anche con allusioni specifiche: «I mass media hanno diffuso modelli di rapporti appiattiti e non decifrabili, per cui in televisione spesso trionfa il 'tu' indipendentemente dal tipo di relazione che c’è tra gli interlocutori». In un tempo non troppo remoto (vedi il 68) si pensava che la seconda persona reciproca fosse un ingrediente necessario al sogno della parità universale: «Che un professore si faccia dare del tu dai suoi allievi mi pare solo populismo. Io lo eviterei sempre e a volte lo spiego ai miei allievi dicendo che è anche una forma di rispetto nei loro confronti». Fatto sta che in italiano abbiamo una ridondanza di formule di saluto e di cortesia (un tempo avevamo persino il «Voi»), mentre a un francese basta un «s’il vous plaît» e a un inglese un «please» per dire quel che noi possiamo esprimere con mille sfumature: «È vero che un 'salve' come saluto può essere positivo e risolvere qualche problema, ma la semplificazione della lingua è spesso il segno di un’umanità appiattita».
Paolo Di Stefano
12 settembre 2009
e qui Roger Daltrey, storico membro della band "The Who" che si presenta come CBE (Commander of the Order of the Bristish Empire)... Tanto per la modestia britannica....
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