Spegnete la torcia!
Da Parigi a Londra a San Francisco gli spiriti liberi si sono dati un gioioso appuntamento: vogliono a tutti i costi spegnere la torcia olimpica e mandare un segnale, non solo a Pechino, ma anche ai loro governi.
È un bene che sia così. Negli ultimi otto anni, la grandiosa crescita della Cina ha dato l’impressione che l’Occidente fosse disposto a chiudere un occhio sul rispetto dei diritti umani, in cambio della possibilità di accedere al più grande mercato del pianeta.
La crescita economica della Cina è in sé una buona cosa, non solo perché un aggressivo competitore in più fa bene al mercato, ma perché possiamo solo immaginare nei peggiori incubi quali colossali ondate migratorie verrebbero scatenate da una Cina in crisi. I cinesi del resto lo sanno, e le piccole comunità cinesi che abbiamo in Occidente sono state create allentando i vincoli all’emigrazione, proprio per dare un assaggio di quello che sarebbe successo se la Cina non avesse avuto il via libera all’accesso al WTO e quindi ai benefici della globalizzazione. Si gioca anche con questi mezzi sulla scena internazionale: il recente stop alla mozzarella italiana, per fare un esempio, è la risposta chiara e diretta alla crisi dei giocattoli cinesi di qualche tempo fa.
Quando partecipavo ai negoziati marittimi tra la Cina e l’Unione Europea, del resto, me ne ero ben accorto. I cinesi sono gentilissimi, mai condiscendenti. E sanno dove vogliono arrivare.
È tempo però che anche l’Occidente risponda. Gli idealisti che pensano sia solo una questione di valori, si sveglino: i diritti umani hanno un preciso peso economico. La questione sul tavolo non è la sorte dell’ex teocrazia tibetana, ma la possibilità di sferrare un contrattacco alla tigre cinese, e, per questa via, riprendere fiato.
Alla Cina è stato permesso finora di fare dumping sociale, deducendo dai costi della manodopera cose come diritti umani, democrazia, rappresentanza, sindacato. È tuttora la più grande dittatura (comunista) del pianeta, e costituisce un modello radicalmente alternativo al nostro stile di vita. Bene, se dobbiamo competere con la Cina dobbiamo farlo ad armi pari. Se la Cina ha lo status di grande potenza dell’ONU, deve assumersi le sue responsabilità a livello internazionale
Insomma, la Cina, sia sul piano interno che su quello internazionale gioca pesante. E allora perché non farlo anche noi? Per il Tibet, ma soprattutto per i nostri interessi.
È un bene che sia così. Negli ultimi otto anni, la grandiosa crescita della Cina ha dato l’impressione che l’Occidente fosse disposto a chiudere un occhio sul rispetto dei diritti umani, in cambio della possibilità di accedere al più grande mercato del pianeta.
La crescita economica della Cina è in sé una buona cosa, non solo perché un aggressivo competitore in più fa bene al mercato, ma perché possiamo solo immaginare nei peggiori incubi quali colossali ondate migratorie verrebbero scatenate da una Cina in crisi. I cinesi del resto lo sanno, e le piccole comunità cinesi che abbiamo in Occidente sono state create allentando i vincoli all’emigrazione, proprio per dare un assaggio di quello che sarebbe successo se la Cina non avesse avuto il via libera all’accesso al WTO e quindi ai benefici della globalizzazione. Si gioca anche con questi mezzi sulla scena internazionale: il recente stop alla mozzarella italiana, per fare un esempio, è la risposta chiara e diretta alla crisi dei giocattoli cinesi di qualche tempo fa.
Quando partecipavo ai negoziati marittimi tra la Cina e l’Unione Europea, del resto, me ne ero ben accorto. I cinesi sono gentilissimi, mai condiscendenti. E sanno dove vogliono arrivare.
È tempo però che anche l’Occidente risponda. Gli idealisti che pensano sia solo una questione di valori, si sveglino: i diritti umani hanno un preciso peso economico. La questione sul tavolo non è la sorte dell’ex teocrazia tibetana, ma la possibilità di sferrare un contrattacco alla tigre cinese, e, per questa via, riprendere fiato.
Alla Cina è stato permesso finora di fare dumping sociale, deducendo dai costi della manodopera cose come diritti umani, democrazia, rappresentanza, sindacato. È tuttora la più grande dittatura (comunista) del pianeta, e costituisce un modello radicalmente alternativo al nostro stile di vita. Bene, se dobbiamo competere con la Cina dobbiamo farlo ad armi pari. Se la Cina ha lo status di grande potenza dell’ONU, deve assumersi le sue responsabilità a livello internazionale
Insomma, la Cina, sia sul piano interno che su quello internazionale gioca pesante. E allora perché non farlo anche noi? Per il Tibet, ma soprattutto per i nostri interessi.
Condivido il suo commento, salvo in un punto:
RispondiEliminache la fiaccola olimpica sia il simbolo giusto con la quale prendersela per mettere in evidenza tutte queste sacrosante problematiche è discutibile; anzi, personalmente lo interpreto come un sistro presagio.
Condizionare lo spirito olimpico a qualcos'altro, significa strumentalizzare (e quindi intaccare) la poca sacralità rimasta impigliata fra le rughe delle olimpiadi.
Mi sento più tra quelli che vorrebbero proteggere quella fiammella che tra quelli che fanno a gara per soffiarci sopra: la questione cinese si affronta altrove.
Approccio simpaticamente idealista, caro titotzky, ma...
RispondiEliminale Olmpiadi sono sempre state per il paese che le ospita un'occasione per mostrare al mondo la propria potenza e prosperità. Tutti coloro che si sottopongono ad esame devono aspettarsi critiche, e nel caso dei paesi totalitari le Olimpiadi (Berlino, Mosca) sono state un'occasione per dare voce al dissenso.
Quanto alla liturgia della sacra fiamma olimpica, fu inventata dai nazisti per le Olimpiadi di Berlino... attenzione quindi ad attribuirle valori simbolici che non le appartengono.
Il rischio dell' amalgame è sempre in agguato: probabilmente i tedeschi hanno re-introdotto il simbolo della fiaccola aggiungendoci magari il tedoforo, ma in sé il fuocherello olimpico è roba vecchia.
RispondiEliminaChe poi il senso dell'evento sia la competizione (sportiva) sulla quale si innesta naturalmente un (positivo) esibizionismo tecnologico ed architettonico... siamo d'accordo.
Giocare alle scaramucce diplomaticihe alle olimpiadi è inelegante se non ridicolo, ma dopotutto restano sempre un bel riflettore sotto il quale porre le questioni più scabrose. Per la gioia degli spiriti liberi, del Dipartimento di Stato e della CIA.
Ah, si, dimenticavo i Tibetani, che cinico.
Caro Dario,
RispondiEliminaTitotzky ha detto bene: teniamo le Olimpiadi fuori dai giochi politici. Il miglior modo per far pressione sulla Cina, a mio avviso, è fuori dagli stadi e dai campi di gara, attraverso l'economia e la politica. Pretendiamo che i nostri rappresentanti politici non vadano a Pechino 2008.
Infine, per quanto scrivi sulla fiammella olimpica: non conta chi la introdusse ma cosa significa per l'opinione pubblica. I simboli valgono per questo, aldilà di ogni esercizio di etimologia.
m
Ohibò, le Olimpiadi non sono un evento politico ed economico?
RispondiEliminaChissà se lo sanno tutti quegli sponsor che spendono un mucchio di quattrini...