Una moratoria morale
Dopo il voto all’ONU sulla moratoria della pena di morte, faceva un certo effetto sentir parlare Marco Pannella di “vittoria della Vita”. Un po' come se il Conte Dracula diventasse testimonial di una campagna per la donazione di sangue…
Giuliano Ferrara ha di recente proposto un’analoga moratoria sull’aborto, mosso da ineccepibile logica: se ogni vita umana è sacra, anche quella del peggiore assassino seriale, non lo è a maggior ragione quella di un innocente?
“condanniamo in linea di principio la soppressione legale di un essere umano senza guardare ai suoi motivi, che in qualche caso, in molti casi, sono l’aver inflitto la morte ad altri. Bene, anzi male. Il miliardo e più di aborti praticati da quando le legislazioni permettono la famosa interruzione volontaria della gravidanza riguarda persone legalmente innocenti, create e distrutte dal mero potere del desiderio, desiderio di aver figli e di amare e desiderio di non averli e di odiarsi fino al punto di amputarsi dell’amore. E’ lo scandalo supremo del nostro tempo, è una ferita catastrofica che lacera nel profondo le fibre e il possibile incanto della società moderna. E’ oltre tutto, in molte parti del mondo in cui l’aborto è selettivo per sesso, e diventa selettivo per profilo genetico, un capolavoro ideologico di razzismo in marcia con la forza dell’eugenetica.”La proposta di Ferrara ha il pregio di essere laica ed umanistica, non ideologica. Essa reclama le buone ragioni dei laici, non convinti dell’equivalenza morale proposta dalla Chiesa Cattolica tra aborto e contraccezione, ma ugualmente smarriti di fronte all’ineludibile immensità delle cifre del fenomeno, contro il totalitarismo laicista che nega a priori valore al futuro dell’umanità, i suoi figli.
Siccome l’Italia, ormai, soffre a tutti i livelli di una prospettiva angusta, per cui tutti i drammi del mondo hanno rilevanza e vengono letti solo in chiave di politica interna, la proposta è stata interpretata in senso diminutivo, come un attacco alla legge 194. Ferrara invece parla dell’aborto come problema planetario, ed i suoi argomenti andrebbero discussi nel merito, senza fare dietrologie sul “cui prodest” nello stagno mefitico della politica nostrana.
Per quanto mi riguarda, concordo sull’analisi secondo cui l’aborto è prima di tutto sessista: nel mondo esso colpisce statisticamente soprattutto feti di sesso femminile. Già: questa supposta grande conquista della donna è lo strumento grazie al quale milioni di donne non sono mai nemmeno venute al mondo!
Che sia eugenetico, lo ammette la stessa legge 194, quando tra i casi in cui l’aborto è consentito include la “previsione di anomalie o malformazioni del concepito”.
Sono poi convinto che la pratica dell’aborto su scala di massa sia parte del grande progetto totalitario e politicamente corretto, che mira a disinnescare la dimensione progettuale e rivoluzionaria dell'atto sessuale, ed a ridurlo a mero oggetto di consumo individuale e commerciale, depurato da ogni implicazione affettiva e sentimentale.
Soprattutto l’aborto costituisce il culmine del progetto femminista di evirazione dell’uomo.
Dal momento che solo alla donna spetta ogni decisione sul proseguimento della gravidanza, e che lui non ha alcuna voce in capitolo, il ruolo dell’uomo è derubricato ad attore non protagonista: mero donatore di seme, se lei decide di abortire, di padre-bancomat, in caso contrario. In ogni caso espropriato di ogni controllo su quello che è - anche - suo figlio. Sintomaticamente, del resto, l’art. 1 della l. 194 dice che “lo Stato riconosce il valore sociale della maternità”: la paternità non viene minimamente citata. Altro che parità tra i sessi: si riconosce il diritto - l'arbitrio - della donna a disfarsi di una maternità indesiderata, mentre la paternità deve essere sempre “responsabile”. Persino dopo morti: il cadavere di Yves Montand fu addirittura riesumato per estrarne il DNA e rispondere così ad un’azione di accertamento della paternità intentata da una ragazza.
Si accusa l’uomo di avere sentimenti proprietari sul corpo della donna. Ma nella logica abortista, la donna accampa proprietà su un altro essere, cui nega la sua specificità. Un po' come nell'antichità i padri avevano il diritto di abbandonare i figli indesiderati sul monte Taigeto.
Del resto non si dice spesso “fare un figlio” piuttosto che “avere un figlio”? Illuminante espressione di quel retropensiero che vede nei figli una proprietà dei genitori, e prelude a tutte gli abusi e i maltrattamenti all’infanzia.
Perché è l’infanzia, poi, la gioventù, il futuro insomma, la vera parte debole di questo paese, quella che non ha diritti ed è alla mercè del nostro mondo senescente e dei suoi comodi.
Così, tutto contribuisce a rendere la scelta di abortire facile e leggera, mentre, di converso, a rendere faticosa, onerosa, economicamente controproducente per una donna l’opzione di avere figli e mettere su famiglia. L'IVG non è nemmeno soggetta al pagamento di un ticket, la gravidanza è trattata alla stregua di una malattia gravissima.
Deve esserlo per forza, se il parto, un tempo evento casalingo e familiare, viene medicalizzato ed ospedalizzato, e quindi drammatizzato, mentre di converso si cerca di s-drammatizzare l’aborto introducendo anche da noi la pillola RU486: non sia mai che la donna debba fermarsi un minuto a riflettere sulle conseguenze ed il valore di ciò che sta facendo. Giù una pillola, e una gravidanza sparisce come se fosse un volgare mal di testa.
Tanto è ostinata la negazione di una qualche importanza al feto, che nessuna aggravante è prevista nella legge penale per l’omicidio di una madre in evidente stato di gravidanza. Uccidi due, ma paghi per uno.
Per vedere quanto la cultura abortista sia forte, basterebbero due dati: la Germania Orientale al momento dell’unificazione fu disposta a lasciarsi assorbire completamente da quella Occidentale, a rinunciare a tutto, alla sanità gratuita, a un sistema di protezione sociale molto forte, al diritto all’alloggio e al lavoro: ma non alla sua legge sull’aborto, assai più liberale di quella occidentale.
Quanto all’Italia, un paese che si è autocondannato all’estinzione continua imperterrito a macinare 200.000 aborti all’anno. Per gli sponsor dell’aborto è probabilmente un successo: ed infatti, mentre la 194 viene difesa con le unghie e con i denti, nulla si fa per la prevenzione. L’educazione sessuale a scuola rimane un tabù, i preservativi costano più che nel resto d’Europa, addirittura la loro pubblicità è scomparsa, senza clamore, dalla televisione (perché i bambini chiedevano chi era quel Control che faceva l’amore con tante belle signore…): risultato, l’aborto è diventato una forma diffusamente praticata di contraccezione tardiva. Questo, lo ricordino i difensori della presente legge 194, in barba alla sua petizione di principio (art. 1: “L'interruzione volontaria della gravidanza… non è mezzo per il controllo delle nascite”), e al chiaro disposto secondo cui l’IVG è ammessa solo nelle “circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la salute fisica o psichica della donna, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito (art. 4).”
Di fronte a tutto ciò io provo orrore. La mia posizione non è ideologica: non aderisco a una chiesa o a un credo politico. È piuttosto una posizione di pancia. Amo i bambini, lo confesso, mi diverte giocarci insieme, ammiro la loro esuberanza, la loro disarmante sincerità, la loro geniale inventiva.
Perciò non capisco come chi ha il meraviglioso dono di concepirne uno possa privarsene. Sbagliava clamorosamente Sigmund Freud quando teorizzò l’ “invidia del pene”: siamo noi uomini a soffrire di ‘invidia dell’utero’. Nulla nasce dalle nostre viscere. Pittura, scultura, poesia, tutte le arti creative, non a caso prevalentemente maschili, non sono che goffi tentativi di simulare l’atto creativo per eccellenza, il concepimento di un bambino ad opera della madre, i nove mesi in cui lo porta in grembo, e tutto il tempo in cui lo porta per mano per il mondo.
Lascio ad altri, più esperti, stabilire se l’embrione sia ‘persona’ o meno. Io mi limito a non capire un mondo che protegge persino la vita degli animali, o l’integrità dei monumenti di pietra, più di qualcosa che è indubbiamente ‘umano’, e che, nel suo umano divenire - aristotelicamente da 'potenza' ad 'atto' - se lasciato crescere, diventerà un bambino.
Non l’ho pensata sempre così, beninteso: finché se ne parla in teoria può sembrare una cosa pulita e logica, persino indispensabile. Comunque estranea, come tante cose di cui apprendiamo dai media e che sembrano non toccarci da vicino. Ma poi conobbi una signora che lo aveva fatto: e ne parlava con disinvoltura, come una delle tante esperienze che contribuivano a costruire il suo curriculum di donna vissuta e navigata. Si era in tutta fretta liberata da una gravidanza inaspettata per poter correre ad assumere una cattedra di demografia in un’importante università d’Oltralpe.
La Demografa che ammazza la Cicogna per poterla meglio studiare a tavolino: è una bella metafora del rapporto malato che questo nostro mondo ha con la vita.
Per inciso, questa persona che descriveva il suo aborto con la stessa imperturbata neutralità morale con cui si parla dell’estrazione di un dente, mi raccontò poi - con assai maggiore partecipazione - di quando si trovò a dover sopprimere un sorcio che il suo gatto aveva torturato. E solo in quel caso si definì “angosciata”. Agghiacciante… Dopo di che è ben difficile prestar fede alla vulgata femminista secondo cui l’aborto è vissuto e sofferto dalla donna che lo pratica come una tragedia.
Mai nessuno, per inciso, che si soffermi a pensare allo stato d'animo di un uomo che vede finire la sua progenie nel cestino dei rifiuti ospedalieri. E' un uomo, poteva stare attento.
Bisogna semplicemente arrendersi all’evidenza – e i recenti episodi di violenza sui bimbi ad opera delle loro madri lo dimostrano - che l”istinto materno” è un’astrazione. Se davvero esiste, non è egualmente distribuito. Semmai, per giustizia, la stessa legge che permette l’aborto dovrebbe essere altrettanto indulgente verso le infanticide, visto che il sentimento (o meglio, la mancanza di sentimento) che anima i due atti è praticamente lo stesso: anzi, nel caso dell’infanticida c’è magari l’attenuante della depressione post-partum.
La Teoria dell’Attaccamento di John Bowlby ha ormai dimostrato quanto il rapporto madre-figlio sia cruciale per il sereno sviluppo della personalità. E quanti danni invece facciano madri anaffettive e mentalmente crudeli. Ecco, forse questa è l’unica possibile giustificazione dell’aborto: che è una maggiore sventura, per un essere umano, nascere da una madre incapace di affetto e di sentimento, che non nascere affatto.
Io credo però che, piuttosto che rassegnarsi, occorra portare avanti questa sfida alla mentalità corrente e politicamente corretta, in nome non di qualche norma metafisica, ma del valore dei sentimenti, degli affetti, di quel grumo di passioni che fa di noi autentici esseri umani. Laicamente, in nome della nostra semplice e fragile umanità che abbiamo il dovere di proteggere, soprattutto nei più indifesi.
"La nostra sola giustificazione, se ne abbiamo una, è di parlare in nome di tutti coloro che non possono farlo."
Albert Camus
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Il confronto tra Giuliano Ferrara e Marco Pannella al Tg3 Primo Piano, 2 gennaio:
Condivido quasi tutto. E' una riflessione molto bella.
RispondiEliminaSull'invidia dell'utero esistono saggi molto interessanti in antropologia.
Una sola nota: la Chiesa non stabilisce affatto un'eguaglianza morale tra aborto e contraccezione. Per niente. C'è la stessa differenza che passa tra sgozzare un uomo e rubare una gallina.
L'aborto è per la Chiesa un omicidio. La contraccezione, molto meno: un peccato, come dire, di "mancata collaborazione con Dio". Ed è un peccato solo nella misura in cui non è naturale. Al punto che, regnante Paolo VI, una commissione composta da autorevoli prelati suggerì al Papa di dichiarare lecita pure la pillola. Poi, le cose andarono come andarono: cioè, con la Humanae Vitae.
La tua osservazione prova comunque come la Chiesa sbagli sul punto la sua strategia comunicativa. La gente percepisce le cose proprio come le descrivi tu.
ciao dario,
RispondiEliminaho letto quello che hai scritto sull'aborto, veramente bello e profondo
penso però che vi siano delle eccezioni e che per alcune donne ricorrere a questa pratica disumana è veramente una tragedia
a presto
baci
ale
Non ne dubito. Per alcune lo è.
RispondiEliminaIntanto, prego notare che Natalia Aspesi, ha così titolato su Repubblica di ieri un lungo articolo sul dibattito sull'aborto: "Il ritorno del maschio".
Che orrore, il maschio! Brutto e peloso, violento e cattivo. Quale miglior prova che l'aborto è il cardine di un femminismo castratorio?
Eric Zemmour nel suo "Le prememer sexe", recensito in questo blog, ci aveva proprio visto giusto.
La sentenza
RispondiEliminaMilano, ha ucciso l’amante incinta. Condannato anche per aborto
Tre anni in più di carcere. «È stato il movente dell’omicidio». Nel 2006 l’uomo colpì la giovane sudamericana con un tubo di ferro e abbandonò il corpo in una zona industriale
MILANO—Non soltanto 24 anni di pena per aver assassinato l’amante dalla quale stava per avere un figlio all’insaputa della moglie e della suocera-datrice di lavoro, ma anche ulteriori 3 anni di carcere per aver procurato alla donna incinta, uccidendola, una «interruzione di gravidanza senza il consenso della donna». Reato autonomo, non assorbito dall’omicidio ma in concorso, perché, nella motivazione del giudice, «l’interruzione di gravidanza è stata il movente dell’imputato, determinatosi a terminare due vite (l’una in atto e l’altra in potenza) per conservare intatto il proprio equilibrio familiare e mantenere quella stabilità esistenziale che garantiva una tranquillizzante routine quotidiana».
La dinamica dei fatti, grazie all’inchiesta del pm Stefania Carlucci, non era in dubbio, al punto da determinare la confessione dell’assassino che, con le riduzioni del rito abbreviato e delle attenuanti generiche, come pena effettiva in sentenza il 27 giugno era sceso a 18 anni complessivi. Nell’ottobre 2006 Veronica, giovane sudamericana sentimentalmente legata a Roberto da due anni, già con un aborto alle spalle, si accorge di essere di nuovo incinta dell’uomo. Lo affronta il 31 ottobre, non le interessa che lasci la moglie per mettersi con lei, ma vuole che si faccia carico del bambino. Lui afferra un tubo di ferro e la colpisce alla testa, «non mi ricordo quante volte» in un magazzino di Trezzano sul Naviglio, ne carica il corpo nel bagagliaio di un’auto e lo scarica in strada a Locate Triulzi in un sacco nero, poi ripulisce il magazzino.
Nella ricostruzione del giudice Giuseppe Gennari, «già a gennaio del 2006 l’uomo aveva obbligato la donna ad abortire, sostenuto tutte le spese e fatto in modo che si sottoponesse a visita specialistica per essere sicuro che l’operazione fosse stata eseguita». Ma in ottobre «Veronica non vuole accettare un secondo aborto, decide di puntare i piedi con Roberto, pretende di avere un padre per suo figlio, vuole che riconosca il nascituro». Ed è qui che l’uomo, temendo «la disgregazione del suo mondo», vede una sola via di uscita, «quella che pratica: uccidere Veronica ed eliminare, con lei, il "problema" ». La difesa, oltre a sostenere la temporanea incapacità mentale dell’uomo, aveva contestato la seconda imputazione, cioè l’aborto senza consenso della donna. E per farla ritenere assorbita nell’omicidio, aveva valorizzato l’unico precedente in Cassazione del 1993 e argomentato che la legge sull’aborto «assumerebbe, quale bene oggettivo di riferimento, la libertà di autodeterminazione della donna e non già la tutela del concepito», sicché «l’azione volta a privare la donna della vita sarebbe prevaricante e esauriente rispetto a quella, minore e incidentale, volta a impedire il completamento della gravidanza». Il giudice giudica «suggestiva» questa tesi, ma obietta di «non credere che l’apparato sanzionatorio della legge 194/78—la quale senz’altro "tutela la vita umana sin dall’inizio" e la cui integrale disciplina rappresenta la sintesi legislativa tra autodeterminazione della madre e interesse del concepito — non comprenda, nella sua prospettiva, anche la protezione della vita del nascituro come bene giuridico autonomo»: tanto che «punisce anche la pratica dell’aborto, pur con il consenso della donna, se al di fuori dei limiti stabiliti dalla legge». L’imputato per il giudice «risponde di un ulteriore reato che conserva una spiccata e autonoma valenza offensiva» perché «è il movente dell’imputato, il quale decide di terminare il prodotto di quella relazione sessuale che lui stesso aveva instaurato in modo chiaramente consapevole anche delle possibili conseguenze».
Luigi Ferrarella
02 ottobre 2008
Giorgio Pierazzini, La Spezia
RispondiEliminaLa Stampa 24 aprile 2014
http://tinyurl.com/mggau3y
La vicenda di «Michele», nome di fantasia usato da La Stampa, che ha scoperto di non essere il padre biologico delle sue figlie senza poterci far nulla ci interroga su quanto negli ultimi 40 anni la condizione maschile in ambito familiare si sia degradata al di là di quanto immaginiamo. La donna può non riconoscere il figlio, o interrompere volontariamente la gravidanza, l’uomo no. Anzi, può vedersi attribuita una paternità che non desidera affatto, frutto di un amore fugace, chissà quanto non pianificato dal lato femminile, visto che la storia, anche recente, è piena di calciatori, attori, cantanti, o persone benestanti in genere che si son visti costretti a farsi padri di perfetti sconosciuti.
Alla base della libertà di scelta femminile c’è, e giustamente, la necessità di una maternità cosciente e realmente voluta. Per l’uomo lo stesso criterio non vale, è del tutto «logico», nella perversa ratio di queste norme, che possa acquisire più che un figlio un semplice creditore di un assegno alimentare. Non è giusto. Questa legge va cambiata, la dichiarazione giudiziale di paternità va abolita e l’azione di disconoscimento della paternità resa imprescrittibile.