Incontrarsi e dirsi addio

Basta la parola, diceva un’antica pubblicità. Finché non c’è la parola, non sai se un determinato fenomeno, una sensazione esiste socialmente, o è solo tua. La parola definisce, identifica, socializza.
La parola è “stalking”, un fenomeno a quanto pare in crescita. Lo stalker è l’ex partner che non ci sta ad essere mollato, ed impone la sua presenza in mille modi assillanti: appostamenti, messaggi, telefonate.
Il suo scopo, apparentemente, è quello di non essere dimenticato.

Certo, alla fine di una relazione è normale cercare di tenersi in contatto. Ma quando dopo alcuni vani tentativi di riavvicinamento, ed in un tempo relativamente breve, una persona non riesce ad accettare la fine di una relazione, e continua a cercare di comunicare con l’ex-partner, se l’altra persona ha specificato chiaramente di non essere interessata, allora siamo nel campo della patologia.
Personalmente, quando chiudo una relazione, chiudo automaticamente tutti i contatti. Ho fatto eccezione per un paio di donne davvero indimenticabili. La fine di una storia la definisce e la colora retrospettivamente. Se è finita, vuol dire che essa era viziata ab origine. Per carattere, del resto, non guardo mai al passato, e non coltivo il vizio dei ricordi. Paradossalmente, benché abbia una enorme collezione di fotografie, e dunque di ricordi, le guardo di rado.

Mi riesce pertanto difficile capire le motivazioni di una signora che ho scaricato ben due anni fa e che continua, imperterrita, a collegarsi al mio blog dalle sei alle dieci volte al giorno, che spesse volte si è fatta viva con sms (finché non ho cambiato numero), che mi scrive , e che talvolta scrive anche a persone con le quali sono stato in contatto.
Tutto solo per informarmi che è felice, oh, quanto è felice, come se la cosa dovesse dispiacermi. In realtà non me ne importa proprio.
Una volta, per pietà, visto lo spettacolo poco dignitoso che offriva, le ho pure offerto di incontrarci, ma lei si è tirata indietro, adducendo motivi di tempo e di lavoro. Preferisce guardarmi dal buco della serratura, leggere ciò che scrivo, imporre la sua presenza virtuale.
Prima dell’abbandono definitivo avevo del resto tentato diverse volte di distaccarmi dalla morbosa signora, ed ogni tentativo fu seguito da un ossessionante diluvio di telefonate, messaggi, e-mail, a me e al mio posto di lavoro.
Poiché non credo assolutamente di essere irresistibile, né indimenticabile, c’è qualcosa che non va nell’altra persona. Naturalmente si tratta di una forma lieve, e poco preoccupante, esistono casi di stalker ben più invadenti ed ossessionanti.

Secondo Massimo Lattanzi, psicologo e fondatore dell'Osservatorio nazionale Stalking, il fenomeno è in crescita. “Colpa di una società sempre più narcisistica. Accettiamo sempre meno rifiuti ed abbandoni. Di fatto gli altri sono oggetti utili a farci stare bene. Quando non rispecchiano più quello che vogliamo inizia la persecuzione”.
Narcisismo ed autoreferenzialità, dunque, sono le componenti psicologiche dello stalker. Ma a ben vedere, si tratta di caratteristiche esattamente opposte a quelle che assicurano il successo di una relazione: altruismo, disinteresse, sensibilità nei confronti dell’altro. In tal senso dunque, lo stalking è una sorta di prova del nove: poichè lo stalker è la stessa persona che non ha fatto funzionare il rapporto, lo stalking è la ulteriore dimostrazione che nella coppia non poteva andare diversamente da come è andata.

Che dire? Viviamo in una società sempre più sana fisicamente, ma con patologie psicologiche sempre più preoccupanti. Incontri una persona, ti sembra normale, persino interessante, solida, e poi scopri che è una maschera dietro la quale si cela una personalità fragile, un groviglio di nevrosi inespresse.

Forse dovremmo cominciare a pensare all’igiene mentale con la stessa cura con cui curiamo l’igiene personale. La diffusione dei fenomeni di stalking, mobbing, etc, dimostra che il mare delle relazioni sociali è sempre più minato da persone che, pur apparentemente normali, possono nuocere a molti.

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