Tre al prezzo di uno

Un anno fa, la proposta di Nicola Rossi - favorire il ricambio generazionale nella Pubblica Amministrazione approfittando dell’occasione unica del prossimo prepensionamento di quasi mezzo milione di persone - mi aveva trovato del tutto favorevole, e lo avevo scritto in un intervento pubblicato anche dal Corriere della Sera. Essa aveva il pregio di superare i ricorrenti e dannosi ‘blocchi del turnover’, che l'esperienza ha dimostrato non avere alcun effetto benefico sulla spesa per il personale. L’odierna proposta del governo, prontamente respinta (stupirsi?) dalla Triplice, è ben diversa: si tratterebbe di prepensionare tre dipendenti anziani per sostituirli con un precario.

Ora, non c’è dubbio che, talvolta, i dipendenti più anziani costituiscono nella PA un freno al cambiamento. Ma è anche vero che sono portatori di un patrimonio di esperienza e di professionalità, oltre che vere e proprie ‘memorie storiche’ degli uffici, che non può certo essere sostituito dalla sera alla mattina. L’inevitabile ricambio generazionale dovrebbe essere preparato, e i nuovi assunti dovrebbero ‘affiancare’ anziché da subito ‘avvicendare’ i colleghi più anziani.
Se poi il criterio per i prepensionamenti è solo l’età, rischiamo che ad andarsene sia proprio il personale più qualificato. Già oggi la Pubblica Amministrazione è scarsamente attrattiva per le elevate professionalità, se poi sostituiamo quelle che ci sono con i precari rischiamo di far diminuire la qualità netta del personale, appesantendo i ranghi più bassi (autisti, uscieri, commessi, dattilografi) che già sono sovraffollati, mentre invece abbiamo un disperato bisogno di quadri e professionalità tecniche.
Io oggi posso governare in una situazione di emergenza due uffici di rilievo regionale dell’amministrazione periferica della Giustizia solo perché posso ancora contare sull’esperienza e la dedizione di un gruppo di cancellieri della vecchia scuola, pericolosamente vicini alla pensione. E posso testimoniare che il dialogo tra persone anziane ed esperte e il loro “giovane” dirigente (la PA è talmente invecchiata che ancora a 41 anni posso darmi arie da giovane…!), è sempre stato proficuo e mi ha arricchito. Dopo di loro, però, il diluvio.

Il piano Nicolais ha il grave difetto di riproporre la Pubblica Amministrazione come valvola di sfogo della disoccupazione (meridionale e non qualificata), minando seriamente la sua credibilità quale datore di lavoro strategico capace di offrire sviluppi di carriera basati sul merito.
Inoltre, promette di dare la mazzata finale al metodo dell’assunzione per concorso, pur previsto come norma dalla Costituzione, sostituito da una maxi-infornata che avrebbe sicuramente non secondari aspetti clientelari.
Anni fa, a me e ad un gruppo di giovani fu offerta un’occasione più unica che rara, di entrare direttamente al vertice della PA attraverso la SSPA. Non sarebbe più democratico se lo Stato offrisse vere occasioni ai giovani, invece che regalare un magro stipendio e uno strapuntino? È tutto qui il valore del lavoro che ci si può aspettare da un governo di sinistra? La perdurante cultura del ‘posto fisso’?

In questa vicenda il Dipartimento della Funzione Pubblica ha mostrato tutti i suoi limite culturali ed organizzativi: esso è incapace di essere la vera cabina di regia delle politiche del pubblico impiego. Perché allora non cominciare proprio da lì, sostituendolo con un’Agenzia per la programmazione delle assunzioni nel pubblico impiego sul tipo di quella che esiste in Germania, e che sovrintende tanto alla amministrazione federale quanto a quella dei laender?

Ma interessa tutto ciò in questi tempi di antipolitica, alle masse convinte che si risolva tutto con un vaffa e una grillata, e che chiunque dedichi il suo tempo alla cosa pubblica sia nel migliore dei casi un parassita, e nel peggiore un ladro?

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