L'arpia Birmana
Anni fa, a Ginevra, ebbi uno scambio di idee, cortese ma piuttosto acceso, con il famoso ambasciatore di Singapore Kishore Mahbubani, già presidente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, uno dei maggiori intellettuali asiatici nel settore delle relazioni internazionali. È nota la sua teoria sul declino dell’Occidente, e sulla superiorità dei cosiddetti “valori asiatici”: disciplina, ordine e rispetto della gerarchia. Secondo Kishore Mahbubani la democrazia non è un ingrediente necessario per lo sviluppo economico, e gli esempi della sua Singapore e della Cina sembrerebbero dargli pericolosamente ragione.
Purtroppo, non si può sempre contare sulle dittature illuminate, e il caso della Birmania lo dimostra. Quella che si gioca a Rangoon è una partita che va ben al di là della sorte di quello sventurato paese. La Cina, principale partner della Birmania, non ne vuol sapere di esercitare pressioni sulla sanguinaria giunta militare. È la sua linea tradizionale, una non interferenza al limite dell’indifferenza, in cambio di buoni affari e partnership commerciali. Finché la Cina era una media potenza regionale, questo atteggiamento tranquillo e non interventista non disturbava, anzi, era benvenuto. Ma oggi, il suo eccezionale status di emergente potenza commerciale, economica e militare rende anche il non fare politicamente significativo.
Insomma, questa crisi è una grande occasione per l’Occidente di mettere la Cina con le spalle al muro, anche in vista delle prossime Olimpiadi di Pechino. Un membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, un global player, deve assumersi tutte le responsabilità che derivano dal suo status.
Bisogna che l’Occidente dica chiaro e forte che democrazia e diritti umani sono valori non negoziabili e validi per tutti: e non solo per motivi puramente ideali, ma anche per ragioni economiche.
Dietro il paravento dei cosiddetti valori asiatici c’è infatti un giocatore sleale che non rispetta le regole, facendo dumping sociale: sarebbe perciò perfettamente plausibile imporre dazi all’importazione di prodotti orientali, tassando così la rendita derivante dai minori costi dovuti all’assenza di democrazia e di tutele sindacali.
La democrazia costa, ma perché è un costo che deve sopportare solo l’Occidente?
====
Questo blog aderisce a "Free Burma", l'iniziativa dei blogger italiani per la libertà della Birmania.
Purtroppo, non si può sempre contare sulle dittature illuminate, e il caso della Birmania lo dimostra. Quella che si gioca a Rangoon è una partita che va ben al di là della sorte di quello sventurato paese. La Cina, principale partner della Birmania, non ne vuol sapere di esercitare pressioni sulla sanguinaria giunta militare. È la sua linea tradizionale, una non interferenza al limite dell’indifferenza, in cambio di buoni affari e partnership commerciali. Finché la Cina era una media potenza regionale, questo atteggiamento tranquillo e non interventista non disturbava, anzi, era benvenuto. Ma oggi, il suo eccezionale status di emergente potenza commerciale, economica e militare rende anche il non fare politicamente significativo.
Insomma, questa crisi è una grande occasione per l’Occidente di mettere la Cina con le spalle al muro, anche in vista delle prossime Olimpiadi di Pechino. Un membro permanente del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, un global player, deve assumersi tutte le responsabilità che derivano dal suo status.
Bisogna che l’Occidente dica chiaro e forte che democrazia e diritti umani sono valori non negoziabili e validi per tutti: e non solo per motivi puramente ideali, ma anche per ragioni economiche.
Dietro il paravento dei cosiddetti valori asiatici c’è infatti un giocatore sleale che non rispetta le regole, facendo dumping sociale: sarebbe perciò perfettamente plausibile imporre dazi all’importazione di prodotti orientali, tassando così la rendita derivante dai minori costi dovuti all’assenza di democrazia e di tutele sindacali.
La democrazia costa, ma perché è un costo che deve sopportare solo l’Occidente?
====
Questo blog aderisce a "Free Burma", l'iniziativa dei blogger italiani per la libertà della Birmania.
Interessante, ma la Birmania è per la Cina molto più di un partner commerciale. E' un pilastro della sua politica di sicurezza nazionale, giacché le basi cinesi in Myanmar servono a svincolarsi dagli stretti di Malacca.
RispondiElimina