I dodici professori che non fecero scuola
L’Università “La Sapienza” di Roma ha deciso di stampare nell’agenda dello studente volti e nomi dei dodici professori universitari che, nel 1931, rifiutarono di prestare il giuramento di fedeltà al fascismo perdendo così la cattedra e lo stipendio.
Sulla vicenda ci sono due interessanti libri - Preferirei di no di Giorgio Boatti, e Il giuramento rifiutato, I docenti universitari e il regime fascista, di Helmut Goetz - che ripercorrono le loro vicende e le motivazioni di quanti scelsero invece di aderire. Degli accademici che giurarono alcuni lo fecero su consiglio di Togliatti che li voleva al loro posto per svolgere opera utile al partito. I cattolici - dimentichi dell’insegnamento evangelico per cui “sia il vostro parlare sì sì, no no, tutto il resto è del demonio" - su suggerimento del Papa Pio XI prestarono giuramento “con riserva interiore”. Lo stesso Benedetto Croce incoraggiò professori come Guido Calogero e Luigi Einaudi a rimanere all'università, "per continuare il filo dell'insegnamento secondo l'idea di libertà", qualunque cosa ciò voglia dire. Altri infine aderirono per mero quieto vivere, all'insegna dell'italianissimo "tengo famiglia".
Insomma, un mix di machiavellismi, opportunismi, viltà pura e semplice, e la classe accademica stette ben salda al proprio posto; solo, a schiena piegata.
Ora, se la lezione di questa storia - e cioè che il vero insegnamento è quello che si dà con l’esempio, piuttosto che con le parole – fosse stata appresa dai nostri accademici, l’iniziativa della Sapienza di additare ai suoi studenti questi fulgidi esempi di drittura morale e di coraggio sarebbe senz’altro da applaudire.
Ma gli esempi bisogna saperli e volerli seguire, e non mi pare sia il caso dell’Università italiana di oggi. Essa è più che mai collusa e compromessa col potere, costituisce essa stessa un blocco di potere, a tutti gli effetti parte di quella Casta inamovibile, sonnolenta mafiosa e familistica, che (non) governa il paese. Ed infatti, nemmeno uno dei tanti istituti figura tra le migliori cento università del mondo. E La Sapienza, di tutte, è la più mostruosa macelleria di intelletti che si possa immaginare: un moloch che nessuno ha voglia di smantellare perché, anche se l’insegnamento è pessimo e le strutture del tutto insufficienti, una cattedra lì consente spesso di fare carriera nella politica e negli enti pubblici.
La storia dei dodici integri rischia di essere semplicemente utilizzata come fiore all’occhiello di una istituzione screditata. Si onori la loro memoria, ma non con una semplice agenda, che si fa presto ad archiviare: Ignazio Silone propose che i loro nomi fossero scritti sui muri delle università italiane. La Sapienza abbonda di travertini: vi scolpisca allora i gloriosi nomi, così che almeno, passandovi sotto la mattina, i suoi baroni possano arrossire di vergogna.
Sulla vicenda ci sono due interessanti libri - Preferirei di no di Giorgio Boatti, e Il giuramento rifiutato, I docenti universitari e il regime fascista, di Helmut Goetz - che ripercorrono le loro vicende e le motivazioni di quanti scelsero invece di aderire. Degli accademici che giurarono alcuni lo fecero su consiglio di Togliatti che li voleva al loro posto per svolgere opera utile al partito. I cattolici - dimentichi dell’insegnamento evangelico per cui “sia il vostro parlare sì sì, no no, tutto il resto è del demonio" - su suggerimento del Papa Pio XI prestarono giuramento “con riserva interiore”. Lo stesso Benedetto Croce incoraggiò professori come Guido Calogero e Luigi Einaudi a rimanere all'università, "per continuare il filo dell'insegnamento secondo l'idea di libertà", qualunque cosa ciò voglia dire. Altri infine aderirono per mero quieto vivere, all'insegna dell'italianissimo "tengo famiglia".
Insomma, un mix di machiavellismi, opportunismi, viltà pura e semplice, e la classe accademica stette ben salda al proprio posto; solo, a schiena piegata.
Ora, se la lezione di questa storia - e cioè che il vero insegnamento è quello che si dà con l’esempio, piuttosto che con le parole – fosse stata appresa dai nostri accademici, l’iniziativa della Sapienza di additare ai suoi studenti questi fulgidi esempi di drittura morale e di coraggio sarebbe senz’altro da applaudire.
Ma gli esempi bisogna saperli e volerli seguire, e non mi pare sia il caso dell’Università italiana di oggi. Essa è più che mai collusa e compromessa col potere, costituisce essa stessa un blocco di potere, a tutti gli effetti parte di quella Casta inamovibile, sonnolenta mafiosa e familistica, che (non) governa il paese. Ed infatti, nemmeno uno dei tanti istituti figura tra le migliori cento università del mondo. E La Sapienza, di tutte, è la più mostruosa macelleria di intelletti che si possa immaginare: un moloch che nessuno ha voglia di smantellare perché, anche se l’insegnamento è pessimo e le strutture del tutto insufficienti, una cattedra lì consente spesso di fare carriera nella politica e negli enti pubblici.
La storia dei dodici integri rischia di essere semplicemente utilizzata come fiore all’occhiello di una istituzione screditata. Si onori la loro memoria, ma non con una semplice agenda, che si fa presto ad archiviare: Ignazio Silone propose che i loro nomi fossero scritti sui muri delle università italiane. La Sapienza abbonda di travertini: vi scolpisca allora i gloriosi nomi, così che almeno, passandovi sotto la mattina, i suoi baroni possano arrossire di vergogna.
Perché trasformare un giudizio positivo di una bella iniziativa in un'invettiva fine a se stessa? Non credo che l'iniziativa avesse il compito di rappresentare un "fiore all'occhiello" per "nascondere" chissà quale turpe "macelleria universitaria". Prendila per quello che è: una testimonianza "originale" di indipendenza e di libertà e lascia agli altri la scelta di vergognarsene o esserne fieri. Di questi tempi mi accontenterei...
RispondiEliminaCaro Francesco… quando si parla dell'università e soprattutto della 'Sapienza' di cui sono ex allievo, parto a testa bassa, troppi sono i sassolini che ho da togliermi dalle scarpe.
RispondiEliminaMa ponevo un serio quesito, e cioè se l’esempio di rettitudine morale e integrità accademica dei 12 sia stato contagioso, ovvero se non sia rimasto un caso isolato. Nel qual caso, esso va certamente celebrato, ma senza dimenticare che quei dodici maestri non ebbero, e non hanno – soprattutto alla Sapienza, oggi la più ‘grossa’ ma non la più ‘grande’ (prestigiosa) università d’Europa – avuto discepoli. Troppo comodo, allora, cavarsela con una agendina, non trova?