Alla Russia con amore


Spira un vento di guerra fredda dalla Russia. Prima i batiscafi che toccano il fondo dell’Artico, per rivendicare il possesso della piattaforma continentale, poi la chiusura delle trasmissioni della BBC, le manovre militari congiunte coi cinesi, quindi ieri la decisione di Putin di far tornare in volo i bombardieri strategici.

Robert Kagan, l’autore di “Power and Weakness”, in un articolo sul NYT, tradotto anche in italiano, vede in questo il segno del ritorno in grande stile dell’autocrazia come sistema politico, e che questo è destinato a polarizzare ancora una volta il mondo, con crescenti solidarietà tra paesi autocratici da una parte e paesi democratici dall’altra. Kagan crede che si tratti di una pietra tombale al sistema multipolare fondato sulle organizzazioni internazionali come l’ONU, e ritiene che gli USA dovrebbero promuovere la solidarietà tra democrazie con una nuova lega di stati democratici, aperta all’Europa, al Giappone, all’Australia, all’India, e capace di fornire legittimità internazionale in alternativa all’ONU.

È fin troppo evidente che Kagan e molti come lui pensano che il ritorno alla bipolarizzazione stile guerra fredda sia in fondo una buona cosa: rende tutto più semplice, consente di tracciare una linea di demarcazione tra ‘buoni’ e ‘cattivi’ e di garantire la fedeltà all’America di alleati sempre più riottosi e resi sospettosi da un uso non sempre responsabile della sua leadership.

Il ritorno alla polarizzazione farebbe inoltre comodo a molti in Europa. Essa ritroverebbe una centralità di teatro che ha perso con la caduta del Muro di Berlino. Per esempio restituirebbe senso al patetico arsenale nucleare francese. I paesi dell’Europa Orientale, che hanno messo le garanzie della loro sicurezza (nei confronti del gigante russo) nelle mani degli USA – visti i tentennamenti e gli opportunismi dei loro partner europei occidentali, vedi l’oleodotto baltico diretto con la Germania – si sentiranno rassicurati da un clima che dimostri inoppugnabilmente la fondatezza dei loro timori, e quindi potranno chiedere un maggior impegno USA nella loro difesa.

Purtroppo il ritorno ai ‘bei vecchi tempi’ della guerra fredda non è così pacifico né si svolgerà secondo linee così chiare di demarcazione.
Il bipolarismo della seconda metà del secolo XX era, tanto per cominciare, non solo politico, ma anche economico. In competizione erano due modi di intendere il mondo. Oggi invece anche le cosiddette autocrazie condividono l’approccio capitalistico all’economia, e commerciano con le democrazie occidentali in modo sempre più stretto.
In un certo senso, il carburante dei Tupolev a Putin lo abbiamo pagato noi.

Inoltre, una potenza emergente come l’India, ancorché democratica, che interesse avrebbe a farsi incastonare in un risorto blocco occidentale? E vogliamo finalmente capire che l’Iran non può essere sbrigativamente liquidato come un’autocrazia? Tracciare nette linee di demarcazione tra 'noi' e 'loro', come negli anni '50, oggi non è più possibile.

Secondo, è tutto da dimostrare che gli USA, dopo il disastro irakeno, potrebbero assumere nuovamente una leadership indiscussa del mondo libero. Il loro potere reale indubbiamente è ancora enorme, non è stato scalfito. Ma lo status di leader responsabile ed affidabile del mondo occidentale sì. Dopo aver venduto la balla delle armi di distruzione di massa, aver perso l'onore ad Abu Grahib e Guantanamo, ed essersi imbarcata in una guerra priva di ragioni, e soprattutto di soluzioni, l’America dovrà presentarsi al mondo con una rinnovata leadership, per tornare ad essere credibile. Se ne parla tra un anno, dunque, se tutto va bene.

E Kagan, che è stato un fautore e un teorico della politica unipolarista americana, è l’ultimo a poter immaginare oggi scenari di Concerto delle Democrazie. È stata proprio la politica muscolare americana degli ultimi anni a indebolire ogni forma di concerto tra i paesi occidentali. Ricordiamo quando Rumsfeld cercava di dividere l’Europa tra vecchia e nuova? O il tentativo di sabotare il processo di Unione Europea caldeggiando la candidatura della Turchia?

In realtà, l’attuale situazione è proprio il risultato di una profezia autoavverantesi. Continuando ad applicare alla Russia schemi da Guerra Fredda, la si è sospinta al margine, col risultato che essa ha ricominciato a pensare proprio secondo quegli schemi. E che alternativa le è stata offerta del resto? La Russia è stata umiliata in tutti i modi possibili: e a quale scopo, poi? Per acquistare influenza in paesi come Ucraina, Georgia, Kirgizia? Si riconosca che si è agito – nei suoi confronti - con particolare insensibilità.
Lungi dall’essere un semplice dominio imperiale russofono, come noi l’abbiamo sempre immaginata, la Grande Madre Russia è per molti popoli della regione la vera garante della pace e della stabilità dell’area. È stupido ignorarlo.

È proprio l’incapacità di includere la Russia nel sistema di sicurezza occidentale, come partner maggiore, la causa del presente risorgere del suo nazionalismo. Ma lo scivolamento della Russia in un sistema neoautocratico non è affatto ineluttabile né definitivo, e forse siamo ancora in tempo a fermarlo.
In Russia c’è ancora un sistema democratico, per quanto imperfetto: è troppo presto per dire che la Russia è diventata un’autocrazia.

Lungi pertanto dal costruire meccanismi, o fori, o organizzazioni che tengano fuori la Russia – come propone Kagan - si deve fare ogni sforzo per includerla nel sistema di sicurezza occidentale.
Cercare di immaginare alternative all’ONU, in questo momento, servirebbe soltanto a rendere più sospettosa la Russia, che in seno all’ONU mantiene lo status di Grande Potenza.

Un buon banco di prova potrebbe essere cominciare ad immaginare una strategia multipolare e condivisa per la gestione dello scenario successivo al ritiro delle truppe americane dall’Iraq.
Ma che l’attuale screditata leadership americana possa avere abbastanza fantasia per far ciò, è tutto da dimostrare.

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