Addio all'informatica (o almeno, arrivederci)
Una mia amica mi aveva regalato un gift certificate di Amazon un anno fa, e mi sono mosso, tipicamente, all’ultimo minuto per riscattarlo. Non avevo mai ordinato niente su Amazon.uk. È un sito incasinatissimo. Mi sono trovato con un ordine per un libro che non volevo e un altro ordine per due libri che volevo cancellati. E sì che non sono un pivello dell’informatica, né un novellino dell’e-commerce. Due ore perse ieri sera, altre mail di protesta stamattina. Ho risolto bene, nulla da dire sul loro customer care, correttissimi. Ma tempo buttato, e io di tempo non ne ho più.
Appena il dottore ha visto le radiografie della mia colonna vertebrale (foto) ha stabilito che passo troppo tempo al computer. È vero, e, ciò che è più paradossale, ogni soluzione tecnica che dovrebbe aiutarmi a salvare tempo nel mio lavoro, comporta altro esborso di tempo ed energie. Il nuovo fax, il nuovo scanner, il nuovo video: ognuno di questi benedetti prodotti ha una quantità di funzioni di cui potrei fare benissimo a meno, e manuali d’istruzione così perversamente complicati che al confronto una circolare della Ragioneria Generale dello Stato sull’inventario dei beni di facile consumo e redazione del modello 256 PGS, è un’opera di alta poesia.
Ho buttato ora il mio vecchio pc upgradato cento volte, comprato otto anni fa. Allora ero un assoluto computer geek. Non credo affatto che la mia vita, una volta informatizzata, sia cambiata per il meglio. Il computer non serve a produrre meno carta. Non serve affatto a lavorare di meno. È allucinante spedirsi mail tra persone che potresti vedere di persona. Questa fede nell’informatizzazione come panacea di tutti i mali presuppone che si sappia ragionare in modo semplice: ma se non sono semplici nemmeno coloro che programmano questi aggeggi! È una pia illusione che il pc serva a socializzare, e aborrisco da sempre la possibilità di giocarci o di vederci film. Al computer ho conosciuto delle persone agghiaccianti e false, come una tal demografa meclemburghese: senza computer mi sarei dunque risparmiato uno degli anni più brutti e una delle esperienze più avvilenti della mia esistenza.
E poi francamente detesto l’omologazione informatica che riduce ogni cosa ad una questione di bit. Fotografie, scritti, musica, pensieri: tutto è diventato un identico, omogeneo segnale digitale.
Vuoi mettere il colore dell’inchiostro della stilografica, il pennino che gratta la carta quando verghi i tuoi pensieri? E la punta del grammofono che plana insicura sul solco del vinile, e il fruscio dei miei dischi jazz? Ieri ho tirato fuori la mia vecchia fedelissima Canon. Che rassicurante suono, la baionetta inastata, il rullo che riavvolge la pellicola d’argento. E le diapositive nel proiettore, enormi e sfolgoranti di colori. Chi ci ha imposto di rinunciare a tutto questo? E dove sarebbe la comodità nel farlo?
Quindi prendo una decisione: mi metto a dieta di pc. Non penso affatto di farne a meno - sono un uomo del XXI secolo - ma di ridurne drasticamente l’uso.
Torno al diario su quaderno di carta, alla foto con i rullini, alla musica dal vivo.
È estate, le spiagge abbondano di belle ragazze, le piazze di turiste, le ville di musicisti. Un sole gradevole ed amico carezza i nostri corpi, e la sera, a Campo dei Fiori, l’aria è delicata come il velluto: sarebbe un peccato perdere altro tempo qua sopra.
Dunque addio anche a questo blog, almeno per un po'. Chi vuole mi trova a Campo per una sana birra. Grazie a Dio, nessuno è mai riuscita a distillarla in bit.
Appena il dottore ha visto le radiografie della mia colonna vertebrale (foto) ha stabilito che passo troppo tempo al computer. È vero, e, ciò che è più paradossale, ogni soluzione tecnica che dovrebbe aiutarmi a salvare tempo nel mio lavoro, comporta altro esborso di tempo ed energie. Il nuovo fax, il nuovo scanner, il nuovo video: ognuno di questi benedetti prodotti ha una quantità di funzioni di cui potrei fare benissimo a meno, e manuali d’istruzione così perversamente complicati che al confronto una circolare della Ragioneria Generale dello Stato sull’inventario dei beni di facile consumo e redazione del modello 256 PGS, è un’opera di alta poesia.
Ho buttato ora il mio vecchio pc upgradato cento volte, comprato otto anni fa. Allora ero un assoluto computer geek. Non credo affatto che la mia vita, una volta informatizzata, sia cambiata per il meglio. Il computer non serve a produrre meno carta. Non serve affatto a lavorare di meno. È allucinante spedirsi mail tra persone che potresti vedere di persona. Questa fede nell’informatizzazione come panacea di tutti i mali presuppone che si sappia ragionare in modo semplice: ma se non sono semplici nemmeno coloro che programmano questi aggeggi! È una pia illusione che il pc serva a socializzare, e aborrisco da sempre la possibilità di giocarci o di vederci film. Al computer ho conosciuto delle persone agghiaccianti e false, come una tal demografa meclemburghese: senza computer mi sarei dunque risparmiato uno degli anni più brutti e una delle esperienze più avvilenti della mia esistenza.
E poi francamente detesto l’omologazione informatica che riduce ogni cosa ad una questione di bit. Fotografie, scritti, musica, pensieri: tutto è diventato un identico, omogeneo segnale digitale.
Vuoi mettere il colore dell’inchiostro della stilografica, il pennino che gratta la carta quando verghi i tuoi pensieri? E la punta del grammofono che plana insicura sul solco del vinile, e il fruscio dei miei dischi jazz? Ieri ho tirato fuori la mia vecchia fedelissima Canon. Che rassicurante suono, la baionetta inastata, il rullo che riavvolge la pellicola d’argento. E le diapositive nel proiettore, enormi e sfolgoranti di colori. Chi ci ha imposto di rinunciare a tutto questo? E dove sarebbe la comodità nel farlo?
Quindi prendo una decisione: mi metto a dieta di pc. Non penso affatto di farne a meno - sono un uomo del XXI secolo - ma di ridurne drasticamente l’uso.
Torno al diario su quaderno di carta, alla foto con i rullini, alla musica dal vivo.
È estate, le spiagge abbondano di belle ragazze, le piazze di turiste, le ville di musicisti. Un sole gradevole ed amico carezza i nostri corpi, e la sera, a Campo dei Fiori, l’aria è delicata come il velluto: sarebbe un peccato perdere altro tempo qua sopra.
Dunque addio anche a questo blog, almeno per un po'. Chi vuole mi trova a Campo per una sana birra. Grazie a Dio, nessuno è mai riuscita a distillarla in bit.
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