Peggio del manganello è l'inerzia
È dai tempi del liceo, quando il mio prof di letteratura mi faceva conoscere alcuni dei più interessanti intellettuali contemporanei, intervistando i quali aveva scritto il suo “La trappola e la nudità”, sui rapporti tra scrittori e potere, che mi vado interrogando sul tema del rapporto col potere. Dopotutto anch’io sono in una posizione di potere, rappresento lo Stato, e dipendo, sia pure mediatamente, dal potere politico.
Come ci si pone dunque di fronte al potere, senza asservirsi?
Viene quindi opportuna una rilettura di “Animal Farm” di Orwell, nel pregevole testo originale inglese.
È – come noto - una metafora della dittatura, che nasce e si sviluppa a causa della violenza prepotente di pochi (i maiali), dello sciocco servilismo delle pecore, dell'aiuto dei mastini (la forza), ma soprattutto, grazie alla silenziosa e paziente rassegnazione degli Animali della fattoria. Alcuni più zelanti, come il cavallo Gondrano, amico di Benjamin the donkey, che risponde a tutti i dubbi ideologici e ai problemi pratici dicendo: "lavorerò di più". Infatti si ammazza di fatica, e poi, al momento di andare in pensione, la dittatura dei maiali lo ricompensa mandandolo al mattatoio.
Il circolo si chiude, e i dittatori diventano esattamente come i tiranni che avevano cacciato. Piuttosto sconfortante: in Animal Farm non ci sono ribelli né spiriti critici. Anche gli animali più intelligenti si accorgono dove si va a parare, ma non reagiscono. Non ci sono nè Jan Palach nè Charta 77: anche per Orwell, la perdita della libertà era ineluttabile e irreversibile.
La storia ha dimostrato il contrario, per fortuna. Ma la morale della favola è che gli ingredienti delle dittature, come di ogni forma di sopruso (possibile anche in democrazia), non sono soltanto i pochi violenti, ma anche i troppi consenzienti. Quelli che non vogliono, ma ci stanno, che 'non capiscono, ma si adeguano', quelli che si voltano dall’altra parte, minimizzano, fanno finta di niente. I servi sciocchi, ma assai più gli intelligenti, quelli che hanno capito, ma – per assenza di forza morale - non traggono le conseguenze sul piano dell'azione.
Chi ha la fortuna di vivere in paesi e tempi che non lo costringano a drammatiche scelte morali ha almeno il dovere di partecipare consapevolmente, attivamente, alla edificazione del corpo sociale. Nel paese del “farsi i fatti propri”, è già una rivoluzione.
Come ci si pone dunque di fronte al potere, senza asservirsi?
Viene quindi opportuna una rilettura di “Animal Farm” di Orwell, nel pregevole testo originale inglese.
È – come noto - una metafora della dittatura, che nasce e si sviluppa a causa della violenza prepotente di pochi (i maiali), dello sciocco servilismo delle pecore, dell'aiuto dei mastini (la forza), ma soprattutto, grazie alla silenziosa e paziente rassegnazione degli Animali della fattoria. Alcuni più zelanti, come il cavallo Gondrano, amico di Benjamin the donkey, che risponde a tutti i dubbi ideologici e ai problemi pratici dicendo: "lavorerò di più". Infatti si ammazza di fatica, e poi, al momento di andare in pensione, la dittatura dei maiali lo ricompensa mandandolo al mattatoio.
Il circolo si chiude, e i dittatori diventano esattamente come i tiranni che avevano cacciato. Piuttosto sconfortante: in Animal Farm non ci sono ribelli né spiriti critici. Anche gli animali più intelligenti si accorgono dove si va a parare, ma non reagiscono. Non ci sono nè Jan Palach nè Charta 77: anche per Orwell, la perdita della libertà era ineluttabile e irreversibile.
La storia ha dimostrato il contrario, per fortuna. Ma la morale della favola è che gli ingredienti delle dittature, come di ogni forma di sopruso (possibile anche in democrazia), non sono soltanto i pochi violenti, ma anche i troppi consenzienti. Quelli che non vogliono, ma ci stanno, che 'non capiscono, ma si adeguano', quelli che si voltano dall’altra parte, minimizzano, fanno finta di niente. I servi sciocchi, ma assai più gli intelligenti, quelli che hanno capito, ma – per assenza di forza morale - non traggono le conseguenze sul piano dell'azione.
Chi ha la fortuna di vivere in paesi e tempi che non lo costringano a drammatiche scelte morali ha almeno il dovere di partecipare consapevolmente, attivamente, alla edificazione del corpo sociale. Nel paese del “farsi i fatti propri”, è già una rivoluzione.
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