Io sono Euroentusiasta !!!
Il 25 marzo, cinquantesimo anniversario della stipula dei trattati di Roma, meritava forse di essere festeggiato con maggior calore dai popoli europei.
Come ci ricorda Geoffrey Wheatcroft sull’IHT, sono stati 50 anni incomparabilmente felici, per l’Europa, specie se confrontati con i cinque lustri precedenti, segnati da due guerre mondiali.
Lo scetticismo riguardo all’Europa dunque, appare esagerato e non rispondente alla realtà dei fatti.
C’è, e palpabile, un sentimento di perplessità per l’ultimo grande Allargamento della Comunità a 10+2 nuovi paesi. In realtà, se l’ammissione di Bulgaria e Romania è stata prematura, se quella di Malta superflua - se non per fini geostrategici, e comunque nell’interesse italiano - e quella di Cipro decisamente incauta, gli otto paesi dell’Europa Centro-orientale hanno meritato pienamente la fiducia loro accordata. Tutti i paesi ex socialisti hanno portato una salutare ventata di liberismo e realismo politico in un’Europa ingessata da un sotterraneo rifiuto della logica del mercato: sono un testimone oculare dell’enorme progresso fatto dalla Lettonia in pochi anni.
Chi invece all’Europa ha fatto davvero male sono stati due stati fondatori: la Francia - con i suoi irrisolti complessi di superiorità bonapartisti-gollisti, il suo eterno malumore sfogatosi in un referendum totalmente irrazionale, suprema contraddizione nella terra di Cartesio - e la Germania. Quest’ultima, finita la generazione di coloro che sentivano intero il peso dell’irredimibile colpa del paese, ha ripreso con una certa baldanza e immemore incoscienza a perseguire antiche logiche geopolitiche che in passato hanno portato a due guerre sanguinose.
Lo fa pacificamente, ma non senza danno: così la malriuscita riunificazione è stata fatta pagare a tutti gli europei; così il prematuro ed unilaterale riconoscimento dell’indipendenza slovena e croata ha ignito la secessione jugoslava; così la pretesa assurda di avere per sé un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha ucciso nella culla ogni possibilità di svolgere una non velleitaria politica estera e di sicurezza comune.
Irlanda e Spagna hanno brillantemente smentito, invece, con le loro performances, il radicato pregiudizio weberiano che il capitalismo potesse annidarsi solo in paesi nordici e protestanti, quasi che la ricchezza fosse il prodotto di un mix di religione e maltempo. L’Italia avrebbe potuto con un colpo di reni essere la terza di questa nouvelle vague catto-mediterranea, ma qui stiamo ancora a discutere dei meriti di Bettino Craxi, ahinoi…
Paradossalmente, quindi, come sottolinea sir Ian Buruma, il paese più europeista è proprio la culla degli Euroscettici, la Gran Bretagna. Che ha saputo attrarre e premiare energie, menti e capitali, e crescere impetuosamente grazie al loro apporto.
L’euroscetticismo ha spesso preso di mira la burocrazia europea, dipinta come un moloch oppressivo. Vado orgoglioso di aver lavorato alla Commissione, e posso testimoniare che questa è un’autentica leggenda metropolitana: tutta l’amministrazione europea conta meno impiegati del Comune di Roma, ed assai più qualificati. La sua capacità progettuale, e non solo meramente esecutiva, è notevole e lungimirante. La sua attività di standardizzazione senz’altro benefica. La sua vigilanza sulla libertà di commercio un freno salutare alle ricorrenti tentazioni protezionistiche degli stati membri.
E poi, contro i luoghi comuni dell’Europa dall’alto, sta la realtà di una crescente integrazione dei popoli europei. Si viaggia agilmente ed economicamente con i voli low cost, si passano frontiere nazionali con la stessa facilità con cui si attraversano demarcazioni comunali e regionali, spesso senza accorgersene. Gli studenti scoprono con Erasmus i loro coetanei e magari li sposano, i nostri accademici lavorano senza frontiere (anche se poi amano darsi un romantico tono da esuli scacciati dalla Patria ingrata), e persino le Pubbliche Amministrazioni nazionali, sotto la spinta di qualche pioniere (io per esempio... ;-), cominciano a dialogare e a lavorare assieme.
Altro dunque che trionfo degli Eurocrati. L’Europa è – sempre più – la casa comune di tutti noi.
Come ci ricorda Geoffrey Wheatcroft sull’IHT, sono stati 50 anni incomparabilmente felici, per l’Europa, specie se confrontati con i cinque lustri precedenti, segnati da due guerre mondiali.
Lo scetticismo riguardo all’Europa dunque, appare esagerato e non rispondente alla realtà dei fatti.
C’è, e palpabile, un sentimento di perplessità per l’ultimo grande Allargamento della Comunità a 10+2 nuovi paesi. In realtà, se l’ammissione di Bulgaria e Romania è stata prematura, se quella di Malta superflua - se non per fini geostrategici, e comunque nell’interesse italiano - e quella di Cipro decisamente incauta, gli otto paesi dell’Europa Centro-orientale hanno meritato pienamente la fiducia loro accordata. Tutti i paesi ex socialisti hanno portato una salutare ventata di liberismo e realismo politico in un’Europa ingessata da un sotterraneo rifiuto della logica del mercato: sono un testimone oculare dell’enorme progresso fatto dalla Lettonia in pochi anni.
Chi invece all’Europa ha fatto davvero male sono stati due stati fondatori: la Francia - con i suoi irrisolti complessi di superiorità bonapartisti-gollisti, il suo eterno malumore sfogatosi in un referendum totalmente irrazionale, suprema contraddizione nella terra di Cartesio - e la Germania. Quest’ultima, finita la generazione di coloro che sentivano intero il peso dell’irredimibile colpa del paese, ha ripreso con una certa baldanza e immemore incoscienza a perseguire antiche logiche geopolitiche che in passato hanno portato a due guerre sanguinose.
Lo fa pacificamente, ma non senza danno: così la malriuscita riunificazione è stata fatta pagare a tutti gli europei; così il prematuro ed unilaterale riconoscimento dell’indipendenza slovena e croata ha ignito la secessione jugoslava; così la pretesa assurda di avere per sé un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha ucciso nella culla ogni possibilità di svolgere una non velleitaria politica estera e di sicurezza comune.
Irlanda e Spagna hanno brillantemente smentito, invece, con le loro performances, il radicato pregiudizio weberiano che il capitalismo potesse annidarsi solo in paesi nordici e protestanti, quasi che la ricchezza fosse il prodotto di un mix di religione e maltempo. L’Italia avrebbe potuto con un colpo di reni essere la terza di questa nouvelle vague catto-mediterranea, ma qui stiamo ancora a discutere dei meriti di Bettino Craxi, ahinoi…
Paradossalmente, quindi, come sottolinea sir Ian Buruma, il paese più europeista è proprio la culla degli Euroscettici, la Gran Bretagna. Che ha saputo attrarre e premiare energie, menti e capitali, e crescere impetuosamente grazie al loro apporto.
L’euroscetticismo ha spesso preso di mira la burocrazia europea, dipinta come un moloch oppressivo. Vado orgoglioso di aver lavorato alla Commissione, e posso testimoniare che questa è un’autentica leggenda metropolitana: tutta l’amministrazione europea conta meno impiegati del Comune di Roma, ed assai più qualificati. La sua capacità progettuale, e non solo meramente esecutiva, è notevole e lungimirante. La sua attività di standardizzazione senz’altro benefica. La sua vigilanza sulla libertà di commercio un freno salutare alle ricorrenti tentazioni protezionistiche degli stati membri.
E poi, contro i luoghi comuni dell’Europa dall’alto, sta la realtà di una crescente integrazione dei popoli europei. Si viaggia agilmente ed economicamente con i voli low cost, si passano frontiere nazionali con la stessa facilità con cui si attraversano demarcazioni comunali e regionali, spesso senza accorgersene. Gli studenti scoprono con Erasmus i loro coetanei e magari li sposano, i nostri accademici lavorano senza frontiere (anche se poi amano darsi un romantico tono da esuli scacciati dalla Patria ingrata), e persino le Pubbliche Amministrazioni nazionali, sotto la spinta di qualche pioniere (io per esempio... ;-), cominciano a dialogare e a lavorare assieme.
Altro dunque che trionfo degli Eurocrati. L’Europa è – sempre più – la casa comune di tutti noi.
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