Io tifo per Livia

Montalbano e Livia
Andrea Camilleri è di nuovo in libreria con un altro romanzo avente per protagonista il Commissario Montalbano. Lo comprerò presto: apprezzo Camilleri, scrive storie godibili e, con il suo parlare misto di siciliano, è un autentico innovatore della lingua italiana. Un merito, questo, che i critici non gli riconosceranno mai, visto che, nella visione compartimentata dei colti di casa nostra, il genere poliziesco è ‘minore’ e quindi giammai potrà aspirare al rango della ‘vera’ letteratura. Sapegno del resto poteva liquidare con poche righe addirittura il grande De Filippo, che lui solo chiamava “Edoardo”, e nessuno, credo, ha mai incluso nei testi scolastici uno dei più conosciuti autori italiani del dopoguerra, Guareschi. Essere un autore popolare è una bestemmia per i nostri intellettuali, che non ammettono si possa coltivare, nelle lettere e nelle arti in genere, altro che i propri privati soliloqui. La scuola si perde per strada i giovani infliggendo loro il Rapisardi e Giovanbattista Marino, poi ci si meraviglia che in Italia nessuno tocchi più un libro dopo il liceo…


I gialli di Montalbano (a proposito, dispiace che la letteratura poliziesca abbia perso da tempo, in copertina, questo colore così tipico della tradizione editoriale italiana) hanno più livelli di lettura: c’è il Commissario impegnato nelle indagini, il gourmet sempre a caccia della buona tavola, e infine l’uomo privato.


Che sappiamo essere scapolo, abitante in Sicilia, da lungo tempo impegnato in una relazione a distanza, quasi del tutto telefonica, con una donna di Genova, Livia. I due si incontrano saltuariamente, e sempre che gli impegni di lavoro di Montalbano lo consentano. Dopo un po' si capisce che il lavoro è solamente una scusa. Montalbano ama Livia a modo suo: che è un modo terribilmente egoistico. Non pensa minimamente a trasferirsi, o a far muovere la fidanzata. Non vuole che niente turbi la sua pace, la sua bella casa, il suo tran-tran e il suo amatissimo lavoro. La fedeltà di Montalbano a Livia è semplicemente una fedeltà a sé stesso e alle sue abitudini. Nella sua vita, la compagna è essenzialmente una commodity: occorre qualcuno che stia lì, lontano ma a portata di mano, come un maglione in un cassetto, pronto quando serve calore, ma che si possa riporre quando non serve più. Montalbano è una testa pensante: mai però che uno dei suoi pensieri sia dedicato alla donna che dice di amare; mai che si sposti dal suo baricentro per considerare anche il punto di vista di lei. In Livia ama soprattutto la possibilità di fare il comodo suo.


Nelle stesse parole di Camilleri, “Montalbano è un gran vigliacco”. Come tutti i vigliacchi, un manipolatore. Oh, non un mostro: i mostri hanno almeno il pregio dell’eccezionalità, due o tre in un secolo. Capacità di manipolazione, viltà ed egoismo sono invece caratteristiche piuttosto comuni e banali, le si ritrova nei bambini, e negli adulti immaturi (non solo maschi). Uno stron**, questo sì.


Chissà allora se gli psicologi hanno codificato una tale attitudine verso la vita e la coppia: in caso contrario propongo di definirla “sindrome di Montalbano”. Se la “sindrome di Peter Pan” connota chi non vuole diventare adulto, i tipi alla Montalbano hanno paura di invecchiare, e per questo non esitano a cristallizzare il tempo loro, e quello di chi sta loro intorno.
La relazione tra lui e Livia è senza tempo, senza senso, e senza sbocco, perché a lui va benone così.


Sarebbe il caso che si studiasse seriamente il fenomeno, perchè esso è diventato sempre più frequente: conosco da vicino, ahimè, persone, e non necessariamente donne, che nella realtà – proprio come Livia - si sono abbrutite per anni in irrisolti e frustranti rapporti a distanza.
Relazioni del genere sono rese possibili dal moderno progresso delle telecomunicazioni, che ha consentito non solo la delocalizzazione degli affari, ma anche quella degli affetti. Come per ogni delocalizzazione, l’utilità per chi l'attua sta nel massimizzare i guadagni pagando il minor costo possibile.


Chi accetta, più o meno consapevolmente, di soggiacere a un simile rapporto ineguale, nutre sicuramente bassa autostima. Che però il manipolatore di turno sa confermare e volgere in suo favore, facendo apparire il sempre più avaro dono di sé, tanto più prezioso quanto più è scarso ("Vedi? Nonostante tutti i miei impegni, riesco a dedicarti mezza giornata, questa settimana..." esclama), e la compagna insoddisfatta, un'ingrata incontentabile.


Auguriamoci dunque che Livia sappia prima o poi liberarsi del compagno egoista, ma anche crescere nella consapevolezza del proprio valore. Se saprà ribellarsi alla condizione marginale e accessoria in cui è stata confinata dal suo amante, scoprirà che il mondo ha più e meglio da offrirle, e più vicino, di una mortificante e squallida relazione a distanza con un narciso egocentrico.


Vado in libreria con l'augurio che questa per Livia sia la volta buona.


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