Refugium Peccatorum

Dov’ero cinque anni fa, quando le Torri cadevano? Ricordo benissimo: nell’aula informatica della SSPA, a battere al computer la mia tesi finale del corso di formazione dirigenziale. Dieci giorni prima ero tornato mestamente in Italia, dopo una gloriosa esperienza di lavoro a Brussels. Cominciava una lunga traversata nel deserto, otto interminabili mesi ad aspettare i comodi della Scuola, poi della Funzione Pubblica, poi del ministero della Giustizia, prima di avere quel posto da dirigente che mi ero guadagnato con un corso-concorso tra i più selettivi mai fatti in Italia. Nessuno, in queste prestigiose istituzioni, aveva saputo preparare per tempo il nostro ingresso nella P.A. dopo 30 mesi di corso, lasciandoci così a vegetare inutilizzati.
Passano gli anni, e ancora non riesco ad identificarmi con la categoria del pubblico impiegato: e non ne ho nessuna intenzione. Detesto cordialmente questo mondo dove tutto va lemme lemme, dove il tempo non ha nessun valore, dove si complica ciò che è semplice. I soldi buttati si possono riguadagnare, ma il tempo è la vita, e quella chi te la restituisce?

Così quando Pietro Ichino, dalle pagine del Corriere della Sera, propone di licenziare gli impiegati nullafacenti, non posso che essere intimamente d’accordo. In quattro anni e passa di carriera (più l’anno del servizio militare), ne ho conosciuta di gente allucinante. Ma chi l’ha stabilito che il pubblico impiego debba essere il refugium peccatorum di tutti i falliti, scansafatiche, incapaci, pigri, lazzaroni, mangiapane a tradimento del nostro paese? Perché non potrebbe avere anch’esso il prestigio e lo status che ha in altri paesi? E allora liberiamoci davvero di questa miserevole zavorra, tagliamo i rami secchi. Questa gente fa ombra e impedisce di crescere a tante persone brave e capaci che pure nello Stato ci sono: già, perché l’altra faccia della medaglia è che lo Stato funziona, male forse, ma funziona, e qualcuno che lo fa funzionare ci dev’essere per forza. Non sono tutti scansafatiche.

All'atto pratico che può fare un dirigente contro i lazzaroni? Ben poco, ahimè, stretto com’è nella collusione di interessi tra la politica e la massa dei pubblici impiegati (ed elettori).
Il dirigente è valutato dai suoi superiori, ma non può a sua volta valutare i suoi dipendenti. Riceve una retribuzione per i risultati conseguiti, ma non può premiare i suoi collaboratori. Le sanzioni disciplinari sono un’arma spuntata: se ho un dipendente incapace o fannullone posso infliggergli autonomamente solo il “rimprovero verbale”, mentre per le altre sanzioni (multa, sospensione dal servizio, licenziamento) devo mandarlo alla commissione disciplinare.
Dirigere un ufficio pubblico, allora, significa sostanzialmente affidarsi a metodi empirici, molta carota e poco bastone, moral suasion e sapiente utilizzo di altri strumenti. Mica è facile comandare in un paese dove nessuno è più abituato ad obbedire, dove ognuno ritiene di essere un caso a parte e di meritare quindi un’eccezione.

Chiaro dunque che qualcuno chieda strumenti drastici.
La proposta Ichino, però, ricorda molto le decimazioni in voga durante la prima guerra mondiale. Vogliamo allora ricordare che a vincere quella guerra non fu Cadorna, fautore delle punizioni esemplari, ma Diaz, che seppe motivare la truppa e condurla alla vittoria?

Commenti

  1. Sono veramente contenta che qualcuno finalmente dica la verità su questo comportamento poco consono alla dignità degli impiegati. Esistono i fannulloni e pure ben pagati.
    Grazie.

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  2. Per la verità, il senso di quello che ho scritto è che esistono ANCHE i fannulloni, ma c'è un sacco di brava gente che lo stipendio (non così lauto) se lo guadagna. E fa marciare la baracca (perché lo Stato funziona male, ma funziona, e dunque qualcuno che lo fa funzionare, nonostante tutto, evidentemente c'è).

    Quando qualcuno scriverà un libro anche su questi ultimi - "cornuti e mazziati" perché oltre ad essere pagati come i lazzaroni, si prendono anche gli insulti del pubblico - allora e solo allora sarà stata detta TUTTA la verità sulla Pubblica Amministrazione.

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