Un bilancio sull'Iraq

Le vere cause della guerra in Iraq forse non le sapremo mai. Preoccuparsi ora se fosse giusta, legittima, alla luce di un diritto internazionale che è una materia molto meno codificata e assai più permeabile alla prassi di quanto non si creda, è preoccupazione da leguleio, ma la politica estera e di sicurezza si fa in altro modo. Dall’alto delle mie precedenti convinzioni nonché di un corso di politica di sicurezza di otto mesi in Svizzera mi permetto di fare le seguenti considerazioni:
Effetti positivi di questa guerra:

  1. per la prima volta gli Iracheni hanno votato liberamente;
  2. per la prima volta nella loro storia godono della libertà di stampa e di altre libertà civili;
  3. per la prima volta dalla spartizione dell’Impero Ottomano, il popolo curdo, diviso in cinque paesi e perseguitato, gode di garanzie e di una reale autonomia;
  4. un dittatore feroce e sanguinario come Saddam è stato chiamato a rispondere dei suoi misfatti davanti a una corte del suo paese, e forse a subire la pena capitale.

Poi nulla quaestio sul fatto che il dopoguerra sia stato gestito male. Ma la preoccupazione per la diffusione di armi di distruzione di massa è reale e ha un serio fondamento, specie dopo la scoperta del network di A.Q. Khan.

L’Italia che ci ha guadagnato?

  1. Maggiore ascolto a Washington rispetto a quanto ne abbiamo in Europa, dove gli altri tre grandi paesi (UK, Francia, Germania) tendono a costituire un direttorio dei Big Three che tiene fuori l’Italia (vedi Tony Blair ancora pochi giorni fa).
  2. Sfavore americano verso il progetto di riforma del consiglio di Sicurezza dell’ONU che vedrebbe l’attribuzione alla Germania di un seggio permanente, e quindi la marginalizzazione dell’Italia.
  3. Costituzione di un fronte europeo che si oppone ai disegni egemonici dei Big 3.

Non si tratta di sostenere una guerra: la guerra è finita da un bel pezzo. In questo momento in Iraq esiste una fase di transizione costituzionale, garantita da una occupazione militare provvisoria, cui l’Italia partecipa. Se ci fosse un cambio di maggioranza, probabilmente avremmo il ritiro delle nostre truppe, sulla base del falso presupposto che tale occupazione è illegale.

Perché, e qui casca l’asino, la presenza militare alleata – contrariamente a quanto si dice e crede da noi - è pienamente legittimata dalla risoluzione UNSC (Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite) 1511 del 16 ottobre 2003, paragrafi 13 e 14

Per effetto di un impegno militare assolutamente minimo date le poche risorse che l’Italia destina alla sicurezza e difesa, coniugato però con una scelta di campo del tutto netta ed inequivoca - rarissima nella nostra storia recente (barzelletta diffusa nella Bundeswehr raccontatami dal mio collega colonnello tedesco: “Lo sai, gli Italiani hanno dichiarato la guerra” “oh!” “Ma non preoccuparti, questa volta sono contro di noi”) - l’Italia ha saputo difendere un posto di prestigio nel grande gioco della politica internazionale e sventare o ritardare interessati progetti di emarginazione. Insomma, abbiamo attaccato il carro dove erano i nostri reali interessi e abbiamo guadagnato tanto con poco.

Perché avremmo dovuto metterci con chi mira ad emarginare il nostro ruolo europeo ed internazionale? Perché avremmo dovuto batterci per il ruolo dell’ONU, organizzazione nella quale l’Italia conta poco, e con la riforma del Consiglio di Sicurezza nel senso voluto dalla Germania conterebbe assai meno?

Nel frattempo, vorrei ricordare, quell’ONU che nelle piazze italiane veniva contrabbandato come la fonte sola e ultima della legalità internazionale (mentre è un elefantiaco e disordinato organismo burocratico: l'ho visto da vicino), è stato scosso dallo scandalo “Oil for Food” che ha toccato anche il Segretario Generale Kofi Annan (non proprio un amico dell’Italia). Lo scandalo ha dimostrato, se ce n’era il bisogno, che anche negli argomenti contro l’intervento c’entravano ben poco le preoccupazioni umanitarie e molto invece interessi poco puliti…

Tutto questo può sembrare cinismo: è invece solo sano realismo politico.

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