Il coraggio delle scelte
Gli errori del premier e quelli dell’Unione
di Angelo Panebianco - 24 IV 2005
Quale che sia la sorte futura del neonato governo, si è comunque chiuso un ciclo decennale, dominato da Silvio Berlusconi. Quali effetti avrà la fine di questo ciclo sul centrosinistra? Nel decennio trascorso Berlusconi ha rappresentato una sfida per la sinistra su molti fronti. E l'ha profondamente influenzata. Sono almeno tre i terreni nei quali Berlusconi ha creato forti discontinuità rispetto alle tradizioni della Prima Repubblica. Il primo ha riguardato l'ambito, politicamente rilevantissimo, dei simboli. Sul piano simbolico il «berlusconismo» ha rappresentato l'esaltazione dell'impresa e della libertà economica, argomenti tabù per la politica tradizionale. Il fatto che Berlusconi non sia riuscito a tradurre quella discontinuità simbolica in una effettiva politica liberal-liberista è forse la vera causa della sua sconfitta. Ma, comunque, quel messaggio ha inciso per un decennio anche sulle idee della sinistra, obbligandola a modernizzare il proprio approccio ai temi del mercato e dell'impresa. Che cosa resterà di queste innovazioni, quanto meno simboliche, quando la sfida berlusconiana sarà archiviata?Il secondo fronte ha riguardato la politica estera. Berlusconi è stato l'interprete di una politica «occidentalista»: fedeltà agli Usa anche al prezzo di tensioni in Europa, scelta di campo pro-israeliana, una politica europea meno disponibile a lasciare all'Italia il ruolo di ruota di scorta dell'asse franco-tedesco. E' anche a causa di questa politica occidentalista, e delle sue conseguenze (la presenza militare italiana in Iraq) che Piero Fassino ha potuto, al recente congresso del suo partito, prendere così radicalmente le distanze dall'antiamericanismo di sinistra.Il terzo fronte (ma anche quello in cui Berlusconi ha avuto meno successo in assoluto) ha riguardato le istituzioni. Con proposte di riforme inadeguate e, su vari punti, anche sbagliate, egli si è fatto comunque interprete di un tentativo di radicale cambiamento delle istituzioni di governo. Ha fallito ma cosa resterà, dopo di lui, della legittima aspirazione a dare al premier i poteri necessari per non essere un ostaggio impotente nelle mani dei partiti? O della aspirazione a rendere più «occidentale» il nostro sistema giudiziario, per esempio separando le carriere di giudici e pubblici ministeri? E' possibile che, venuta meno la sfida berlusconiana, di tutto ciò non resti traccia e il centrosinistra si adagi in un conservatorismo soddisfatto, pago delle poche virtù e dimentico dei vizi delle nostre tradizioni politico-istituzionali. In questo caso potrà ereditare il potere ma non la capacità di esercitarlo per modernizzare il Paese. Dovrebbe essere fonte di preoccupazione per il centrosinistra constatare che, al momento, la regione più «rossa», ove maggiore è stato il suo successo, è la Basilicata, mentre proprio le due regioni economicamente più forti e dinamiche, Lombardia e Veneto, sfuggono alla sua presa. Berlusconi commise l'errore, prima delle elezioni del 2001, di non affrontare il nodo rappresentato dalla eterogeneità interna della sua coalizione. Finse che il centrodestra fosse unito dietro di lui. Come primo ministro ha pagato questo errore. Prodi corre oggi lo stesso rischio. Il centrosinistra è altrettanto diviso al suo interno e a Prodi converrebbe non imitare Berlusconi. E farsi ora promotore di una proposta di governo, non piattamente incentrata sull’antiberlusconismo e sulla difesa dello status quo (per esempio in tema di Costituzione), che porti alla luce subito i conflitti nel centrosinistra. Poiché — Berlusconi docet — ciò che non si ha il coraggio di fare prima, lo si sconta dopo. La furbizia di oggi verrà pagata domani. In credibilità e consenso.
24 aprile 2005
di Angelo Panebianco - 24 IV 2005
Quale che sia la sorte futura del neonato governo, si è comunque chiuso un ciclo decennale, dominato da Silvio Berlusconi. Quali effetti avrà la fine di questo ciclo sul centrosinistra? Nel decennio trascorso Berlusconi ha rappresentato una sfida per la sinistra su molti fronti. E l'ha profondamente influenzata. Sono almeno tre i terreni nei quali Berlusconi ha creato forti discontinuità rispetto alle tradizioni della Prima Repubblica. Il primo ha riguardato l'ambito, politicamente rilevantissimo, dei simboli. Sul piano simbolico il «berlusconismo» ha rappresentato l'esaltazione dell'impresa e della libertà economica, argomenti tabù per la politica tradizionale. Il fatto che Berlusconi non sia riuscito a tradurre quella discontinuità simbolica in una effettiva politica liberal-liberista è forse la vera causa della sua sconfitta. Ma, comunque, quel messaggio ha inciso per un decennio anche sulle idee della sinistra, obbligandola a modernizzare il proprio approccio ai temi del mercato e dell'impresa. Che cosa resterà di queste innovazioni, quanto meno simboliche, quando la sfida berlusconiana sarà archiviata?Il secondo fronte ha riguardato la politica estera. Berlusconi è stato l'interprete di una politica «occidentalista»: fedeltà agli Usa anche al prezzo di tensioni in Europa, scelta di campo pro-israeliana, una politica europea meno disponibile a lasciare all'Italia il ruolo di ruota di scorta dell'asse franco-tedesco. E' anche a causa di questa politica occidentalista, e delle sue conseguenze (la presenza militare italiana in Iraq) che Piero Fassino ha potuto, al recente congresso del suo partito, prendere così radicalmente le distanze dall'antiamericanismo di sinistra.Il terzo fronte (ma anche quello in cui Berlusconi ha avuto meno successo in assoluto) ha riguardato le istituzioni. Con proposte di riforme inadeguate e, su vari punti, anche sbagliate, egli si è fatto comunque interprete di un tentativo di radicale cambiamento delle istituzioni di governo. Ha fallito ma cosa resterà, dopo di lui, della legittima aspirazione a dare al premier i poteri necessari per non essere un ostaggio impotente nelle mani dei partiti? O della aspirazione a rendere più «occidentale» il nostro sistema giudiziario, per esempio separando le carriere di giudici e pubblici ministeri? E' possibile che, venuta meno la sfida berlusconiana, di tutto ciò non resti traccia e il centrosinistra si adagi in un conservatorismo soddisfatto, pago delle poche virtù e dimentico dei vizi delle nostre tradizioni politico-istituzionali. In questo caso potrà ereditare il potere ma non la capacità di esercitarlo per modernizzare il Paese. Dovrebbe essere fonte di preoccupazione per il centrosinistra constatare che, al momento, la regione più «rossa», ove maggiore è stato il suo successo, è la Basilicata, mentre proprio le due regioni economicamente più forti e dinamiche, Lombardia e Veneto, sfuggono alla sua presa. Berlusconi commise l'errore, prima delle elezioni del 2001, di non affrontare il nodo rappresentato dalla eterogeneità interna della sua coalizione. Finse che il centrodestra fosse unito dietro di lui. Come primo ministro ha pagato questo errore. Prodi corre oggi lo stesso rischio. Il centrosinistra è altrettanto diviso al suo interno e a Prodi converrebbe non imitare Berlusconi. E farsi ora promotore di una proposta di governo, non piattamente incentrata sull’antiberlusconismo e sulla difesa dello status quo (per esempio in tema di Costituzione), che porti alla luce subito i conflitti nel centrosinistra. Poiché — Berlusconi docet — ciò che non si ha il coraggio di fare prima, lo si sconta dopo. La furbizia di oggi verrà pagata domani. In credibilità e consenso.
24 aprile 2005
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