Pirati della strada, figli della fuga dalle responsabilità


Spesso la famiglia, la tv e la politica ci insegnano a non rispondere delle nostre azioni

di ISABELLA BOSSI FEDRIGOTTI

Quasi ogni giorno e ogni notte, in qualche strada o autostrada, circonvallazione, piazza o vicolo d’Italia, un pirata in auto investe qualcuno che passa a piedi, in bici o motorino e lo lascia morire senza soccorso. Sempre la stessa storia, sempre più frequente, quasi che l’impunità toccata a uno incoraggi gli altri a ripetere. Anche considerando che l’attenzione dedicata in questi giorni da giornali e tv alle gesta degli automobilisti criminali potrebbe far sembrare il fenomeno ancor più grave di quanto non sia, i numeri restano impressionanti. Fugge il pirata per paura, naturalmente, delle conseguenze penali ed economiche, per non avere fastidi, incomodi, grane.
E perché rispondere delle proprie azioni è cosa di un altro mondo, è virtù o anche solo dovere che non ha più maestri, non qui da noi. Ormai siamo tutti affetti da irresponsabilità, malattia contagiosa e deformante, della quale, però, non si ha vergogna, forse perché così diffusa.
Fin da piccoli in famiglia i figli vengono, infatti, coperti da papà e mamma: se rubano, se devastano o distruggono la colpa è preferibilmente di cattivi compagni maleducati, di malvagi amici trascinatori; se vanno male a scuola, se meritano votacci o non passano l’esame è probabile che dipenda da insegnanti incapaci o accaniti. E volentieri si fa ricorso al Tar per cancellare bocciature «ingiuste e immeritate».
Non cambia nulla quando i figli non sono più bambini perché, sebbene adolescenti o addirittura adulti, padri e madri continuano, con amore omertoso, a cercare di salvarli da qualsiasi colpa. Non raramente, infatti, si sono visti genitori nascondere e mentire, a rischio di inguaiarsi, pur di proteggere i loro eroi del sabato sera, i loro bulli senza cuore in strada e tremebondi tra le pareti di casa.

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