CORAGGIO INGLESE, PALLIDA EUROPA
di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA
Corriere della Sera Martedì 9 Ottobre 2001
Come è successo dal 1945 in avanti in quasi tutte le occasioni analoghe, anche oggi, in Afghanistan, gli Stati Uniti non sono soli a combattere: al loro fianco è schierata la Gran Bretagna. È schierata non già diplomaticamente, o magari in funzione di appoggio logistico, come altri Paesi tipo l’Australia: no, la Gran Bretagna è schierata sul campo a fianco degli Stati Uniti, nella concretezza dell’impegno militare, nel comune rischio di mettere in gioco la vita e nella comune sfida di dare la morte. Questo ennesimo accorrere degli inglesi a fianco degli americani non avviene in forza di alcun trattato, di alcuna alleanza formale. Avviene in forza di qualcosa di molto più importante: per la comunanza di cultura e di lingua, per i vincoli di un passato sentito oggi come iscritto sotto il medesimo segno, per la condivisione di alcuni valori a presidio della comunità politica: per esempio che esistono il bene e il male, la giustizia e l’ingiustizia, e che alla fine il compromesso tra essi è impossibile; che vi sono sfide da raccogliere, e che in certe circostanze il solo modo di farlo è quello di battersi, se necessario duramente. Nei momenti che contano la Gran Bretagna (qualunque sia il suo governo) si ritrova puntualmente e spontaneamente insieme agli americani (qualunque sia il loro presidente), si schiera subito con la Casa Bianca, e le sue truppe cominciano a combattere accanto a quelle degli Stati Uniti. E’ per l’appunto la special relationship , il rapporto speciale che da almeno mezzo secolo lega Londra a Washington e che coinvolge gli ambiti più delicati, a cominciare da quello delicatissimo dell’ intelligence : gli americani si fidano solo degli inglesi, di chiunque altro no. Tra questi altri ci siamo noi, c’è l’Europa. Alla fine poche cose come la special relationship anglo-americana, il suo permanere immutata e immutabile nel tempo, valgono a sottolineare l’inconsistenza del soggetto politico che dovrebbe essere rappresentato dall’Europa, la disperante evanescenza dei suoi propositi di diventare quel soggetto. Proprio rispetto a tal fine la special relationship dimostra quanto siano importanti una storia di valori e di sensibilità comuni, una cultura e una lingua comuni: dimostra quanto sia importante, cioè, proprio quello che all’Unione manca, quello che i suoi membri non hanno ereditato dal loro passato e che non è dato di far nascere al tavolo di alcuna conferenza internazionale. A quei tavoli, infatti, si possono creare le monete, non le tradizioni, non l’identità tra le menti ed i cuori, non la volontà di mettere in gioco la propria vita. Il problema è immediatamente politico: è il problema del rapporto tra Inghilterra ed Europa. È pensabile un’Unione senza Londra? Ma che senso ha un’Unione di cui Londra faccia pure formalmente parte se poi nelle occasioni che contano la Gran Bretagna fa assolutamente per conto suo, prende impegni, manda navi e aerei, ha una politica estera e militare che si distacca in modo anche simbolicamente così netto dagli altri partner europei? Infine e soprattutto, il problema è di culture politiche. Esiste una cultura politica delle società anglosassoni e delle loro classi dirigenti, la quale è fatta di sicurezza di sé e dei propri valori, di tolleranza ma anche di fermezza, di patriottismo, di parlar chiaro e di gusto per le sfide in campo aperto; esiste poi, invece, una cultura politica del continente fatta di incertezza circa il proprio passato e di democrazia importata, di formule fumose e di divisioni interne, di ancor più forti incertezze all’esterno. Per una parte, politica vuol dire impegnarsi, fare, accettare il rischio; per l’altra, disimpegnarsi, far finta di fare, cercare ad ogni costo di pagare il prezzo meno caro possibile. Nelle occasioni che contano tra le due parti non ci sono ponti, ma si apre un baratro: l’Unione europea rischia ogni volta di scomparire precipitandoci dentro.
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